L’ANGOLO LEGALE: Rendimento lavorativo, clausule di risultato e programmi di produzione
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Nel lessico comune per rendimento si intende la misura con la quale un lavoratore assolve alle proprie funzioni e ai propri compiti professionali. La ricerca di un parametro attraverso il quale andare a misurare il rendimento lavorativo non è cosa semplice infatti è evidente che i fattori in gioco sono diversi .
L’interesse del datore di lavoro non si limita semplicemente a ricevere le energie del lavoratore, ma si estende al risultato finale che quelle energie possono produrre. In altre parole l’obbligazione del lavoratore subordinato, benché abbia come oggetto un fare e non un risultato, non si esaurisce nella messa a disposizione delle energie lavorative ma deve essere idonea a soddisfare l’interesse del datore di lavoro. Ma quale sarà il parametro oggettivo sulla base del quale si potranno misurare la diligenza richiesta al lavoratore subordinato ed il livello di soddisfazione dell’interesse del datore? In alcuni rapporti di lavoro sono stabilite pattiziamente tra le parti le cosiddette clausole di rendimento o di risultato, le quali vengono inserite nei contratti di lavoro costituendo, così, per il lavoratore un obbligo prestazionale. L’apposizione al contratto di lavoro di clausole di rendimento minimo si registra in particolare per quelle figure lavorative che operano al di fuori della sede aziendale, mi riferisco in particolare a quei lavoratori che hanno specifici compiti di vendita come ad esempio i produttori assicurativi.
Il CCNL Ania, seconda parte, stabilisce per il produttore il dovere di collaborare fattivamente al fine dell’acquisizione di affari “secondo i programmi indicati e le direttive impartite dagli organi responsabili”. Sulla base delle riflessioni fatte che tipo di collocazione possiamo dare ai programmi di produzione? Gli stessi programmi proprio perché inseriti e contemplati nel contratto potrebbero essere ritenuti parte integrante del contratto stesso e di conseguenza costituire un obbligo prestazionale. Potrebbero anche essere interpretati come clausole di rendimento minimo previsti a livello di contrattazione collettiva e di accordi sindacali aziendali. Se così fosse potrebbero essere utilizzati quali strumenti per misurare la diligenza del produttore nell’esecuzione della prestazione di lavoro e, nel contempo, provare l’eventuale scarso rendimento del produttore? L’ azienda ha sempre interpretato la mancata realizzazione del programma di produzione grave inadempimento contrattuale, legittimando provvedimenti disciplinari e licenziamenti per scarso rendimento. Tutto questo ha dato sviluppo a numerosi contenziosi tra l’azienda e i produttori, si è contestato l’utilizzo del potere disciplinare sulla base di una diversa interpretazione data ai programmi di produzione. Nelle controversie tra il produttore dipendente e l’azienda i giudici del lavoro hanno chiarito che i livelli minimi di produzione inseriti nel contratto devono essere stabiliti in sede sindacale o in contraddittorio tra le parti. La determinazione unilaterale di tali parametri da parte del datore di lavoro costituirebbe, infatti, un “arbitrio non compatibile con i principi di contemperamento degli interessi che presiedono l’esecuzione dei contratti”. In altri termini l’azienda non può decidere unilateralmente le soglie di produzione minime sotto le quali ritenere il produttore inadempiente in rapporto agli obblighi che lui stesso si assume con la sottoscrizione del contratto. D’altra parte i programmi di lavoro sono costituiti da obiettivi produttivi volti a soddisfare l’interesse specifico del momento, vengono cambiati periodicamente seguendo una logica imprenditoriale avulsa da ogni considerazione oggettiva.
L’inserimento dell’obbligo per il produttore di acquisire gli affari secondo “i programmi indicati” finisce per generare confusione e ambiguità. La mancata realizzazione dei volumi produttivi inseriti nei programmi non è sufficiente a determinare l’inadempimento della prestazione del produttore in termini produttivi, ma è necessaria una notevole e significativa sproporzione tra gli obiettivi esigibili in un determinato arco di tempo ed il rendimento offerto dal lavoratore. Inoltre l’azienda, ai fini dell’utilizzo del potere disciplinare , dovrà dimostrare l’imputabilità dello scarso rendimento alla colpa e negligenza del dipendente.
L’ambiguità dei programmi di produzione può riassumersi nel loro doppio aspetto: da una parte vengono utilizzati come strumento per misurare l’esatto adempimento dell’obbligo di collaborazione fattiva del dipendente; dall’altra vengono utilizzati per determinare il premio di produzione (Rappel) da corrispondere in rapporto alle rese realizzate. Ma quale aspetto dei due è giusto?
Questa confusione generata dai programmi si può superare solo attraverso una modifica del contratto di lavoro e in particolare con una revisione dei doveri del produttore volta ad eliminare la frase “…tale attività secondo i programmi di produzione indicati…” In questo modo si svincolerebbe il giudizio sulla mancata fattiva collaborazione dalla realizzazione dei programmi di produzione. Inoltre si eviterebbe anche una interpretazione forzata sulla loro stessa natura: clausole di risultato o obbligo prestazionale? Il contratto può anche prevedere uno strumento di valutazione, ma non può rimettere la sua completa determinazione all’insindacabile arbitrio dell’azienda. I minimi produttivi richiesti al dipendente devono essere preventivamente stabiliti in accordo tra le parti, solo in questo caso possono assumere la valenza di clausole di risultato.
In conclusione questa riflessione sui programmi di produzione ci può aiutare ad interpretare meglio i rapporti tra l’azienda ed i produttori, tuttavia rimangono ancora molti dubbi interpretativi sulla vera natura giuridica dei programmi e sulle conseguenze della loro mancata realizzazione. L’argomento è tuttora molto dibattuto nelle sedi giurisdizionali e in continua evoluzione, il nostro compito è quello di continuare a seguirne gli sviluppi con l’impegno e la passione che contraddistingue ognuno di noi.
GIAN LUIGI RICUPITO