Inform@fisac giugno 2017

Vendita: pressioni, ignoranza, regole.
Prontuario (non così tanto) minimo.

Innanzitutto una nota di servizio. Questo NON è il solito volantino di denuncia sulle pressioni commerciali. Anzi, non è proprio un volantino: non contiene slogan o minacce, non riporta casi emblematici, non fa dichiarazioni roboanti. A dirla tutta, non è condiscendente e nemmeno sintetico.

Quello che state leggendo è invece un ragionamento organico (e magari anche scomodo) sul processo di vendita in banca. Su quello che generalmente viene considerato un tutt’uno indistinto e invece è una realtà disomogenea, contraddittoria e molto articolata. Il nostro obiettivo è costruire una mappa di questo mondo caotico e comprendere come muoversi al suo interno. Soprattutto vogliamo definire una serie di punti fermi che riducano l’arbitrio (aziendale) così come l’inconsapevole autolesionismo (dei colleghi).

“Cosa possono chiedermi e cosa no?” “Posso prendere delle decisioni in autonomia?” “Come posso difendermi se subisco vessazioni di qualche genere?” sono le domande più ricorrenti che ci vengono fatte da voi colleghi. Sono domande fondamentali e cercheremo di dare una risposta a ognuna di esse. Ma ci occuperemo anche di quella che è la domanda più importante di tutte, quella assolutamente imprescindibile: “Che cosa devo, ma soprattutto, cosa NON DEVO assolutamente fare?”.

Dunque, una mappa. Qualcosa che non solo dia delle risposte, ma che ci consenta di tracciare un cammino. Ci siamo organizzati per punti, come se fossero le tappe di un viaggio che parte da una convinzione (errata!) e in 6 tappe ci riporta da dove eravamo partiti. Di nuovo a casa ma, come in ogni viaggio che si rispetti, diversi da come eravamo: arricchiti di maggiore consapevolezza e con nuovi strumenti.

La Banca non esiste
Ovvero, perché quello che credi di sapere è sbagliato

Molti dei colleghi che lavorano in filiale sono portati a credere che la Banca inizi e finisca nel mondo che conoscono: appunto la filiale. Si sa che ci sono delle Direzioni Centrali, ma è un mondo indistinto dove vengono fatte cose più o meno oscure, più o meno utili o inutili (quando non dannose). Un mondo ricco di sottili e indefinite promesse per i più fortunati tentano di raggiungerlo, ma comunque distante: non ha nulla a che vedere con la realtà di filiale, della prima linea dove si combatte ogni giorno una doppia battaglia. Quella con clienti sempre più diffidenti e incarogniti e quella con capi (ognuno ha il suo: Direttori, Capi Area, Capi Mercato e così via) sempre più pressanti e (anche loro) incarogniti. In questa realtà si finisce col credere che la Banca non sia nulla di più che una filiera commerciale con alcune funzioni di contorno che non interagiscono con il concreto processo di vendita, ovvero l’unica cosa che rileva per chi lavora nella rete.

Ora, questa convinzione è estremamente sbagliata e pericolosa. La Banca (quella con l’articolo determinativo e le iniziali maiuscole) NON esiste. Esiste invece un insieme di funzioni articolate e complesse che hanno compiti specifici, talvolta conflittuali ma certo non subordinati tra loro. L’obiettivo, unico e finale, ovviamente c’è: è quello del miglior utile di bilancio. Ma tale obiettivo non può essere conseguito solo attraverso la più ampia vendita possibile. Passa, ad esempio, anche attraverso il presidio del rischio di credito (e della capacità di recuperare le posizioni sofferenti), la coerenza tra le affermazioni in tema di sostenibilità sociale e le pratiche commerciali, il puntuale rispetto di leggi e regolamenti in tema di gestione del risparmio così come di prevenzione della criminalità. Tutti questi presidi sono centrali per la banca e la cattiva gestione di uno o più di questi potrebbe metterne addirittura in discussione l’esistenza stessa.

Ed ecco qui la gravissima pericolosità dell’errata convinzione di lavorare in un’azienda “unica”, nel senso di con un solo obiettivo e un’unica via per raggiungerlo: la vendita a tutti i costi. Ma se quello della vendita a tutti i costi è il mantra (talvolta spinto fino a una compulsiva maniacalità) “solo” della filiera commerciale, tuttavia i colleghi nella rete sono esposti ai rappresentanti gerarchici di tale filiera in via praticamente esclusiva, fino a ritenerli l’unica gerarchia a cui debbono effettivamente rispondere. Una visione devastante.

Abbandonare l’errata convinzione sull’univocità delle priorità aziendali è fondamentale per intraprendere una metodologia di autodifesa realmente efficace. Efficace: non semplice, banale o delegata.

Le pressioni commerciali
Ovvero come il problema più pressante sia solo la punta dell’iceberg

Le pressioni commerciali sono il sintomo più evidente della grave malattia che travaglia il mondo del credito. Sono l’esasperazione della comunicazione, la ferocia degli atteggiamenti, l’incapacità di collocare le diverse esigenze in una reale scala di priorità, l’irrazionalità dei comportamenti elevata a sistema. Sono il motivo della crescita nel consumo degli psicofarmaci, così come della disaffezione dal proprio lavoro fino a metterne in discussione la stessa ragion d’essere. Sono questo e molto altro.

Ma nonostante tutto questo, sono comunque un fenomeno superficiale (nel senso di ciò che sta in superficie, non di ciò che è poco importante) e ormai riconosciuto anche dall’azienda come una devianza dal corretto presidio dell’attività di vendita. Per questo motivo le “pressioni commerciali”, pur essendo la causa più diretta e violenta del malessere lavorativo dei colleghi, in fondo sono anche il fenomeno più efficacemente arginabile. A patto di intendersi su cosa significhi “efficacemente arginabile”. Proprio per la loro natura di comportamento deviato la repressione delle pressioni non è un fatto che si possa ottenere una volta per tutte, per via di editti, accordi, o persino leggi. Naturalmente la devianza è tale proprio in quanto viola una  legge. La repressione delle pressioni indebite è quindi efficace solo quando si interviene in maniera puntuale nei luoghi in cui si manifesta e in modo mirato sui soggetti che la mettono in campo. Occorre che i colleghi segnalino al sindacato i comportamenti deviati e pretendano che i propri sindacalisti intervengano in modo tempestivo ed efficace. La nostra esperienza ci dice che i casi in cui siamo intervenuti hanno ridotto efficacemente i fenomeni, almeno per un certo lasso di tempo. Allo stesso modo, al ripresentarsi di comportamenti illeciti, occorrerà procedere con nuove segnalazioni e richieste di intervento.

Quando richiamiamo la nostra disponibilità a un immediato intervento a seguito delle vostre segnalazioni non esercitiamo una roboante minaccia generalizzata che di per sé terrorizzerà i più scatenati tra i capi togliendo loro, già in partenza, ogni velleità vessatoria. Vogliamo invece fare un vero patto con voi per intervenire efficacemente sui sintomi della malattia, fino ad indebolirla abbastanza da poterla sconfiggere.

L’ignoranza commerciale
Ovvero perché “Non devi mai accettare un no come risposta” è una battuta buona in un film, ma non così tanto nella vita vera

Se le pressioni sono il sintomo, qual è la malattia? La malattia è l’ignoranza commerciale: un mix tra dittatura del metodo e asservimento fideistico agli slogan da quattro soldi presi dai manuali motivazionali in vendita nelle edicole. In altre parole il tentativo di tradurre in realtà il mondo surreale del film “The Wolf of Wall Street”. Come noto, il protagonista crea un impero finanziario dal nulla. Non fa pressioni commerciali ai sui collaboratori e dipendenti: li motiva e gli fornisce un metodo. “Non riagganciare finché il cliente muore o compra”, oppure “Non devi mai accettare un no come risposta” sono il mantra quotidiano. Questo fa pensare, no? Quanto è distante la finzione cinematografica dal nostro quotidiano? Al momento ancora parecchio. Ma possiamo davvero affermare che non si stia determinando una linea di tendenza? La pianificazione delle telefonate da fare, il numero di appuntamenti da prendere, gli esiti da certificare, le campagne prioritarie da evadere, e in definitiva la costruzione ideologica secondo la quale i clienti non abbiano più una qualche voce in capitolo e l’esito della vendita dipenda solo dall’approccio, dall’entusiasmo e dalla condivisione del metodo non sono forse un percorso verso un chiara (e malata!) direzione? La cosa più inquietante è che il “metodo” non è di per sé pressione commerciale. Le urla, gli strepiti, le minacce, le mail compulsive, la reportistica aggiuntiva lo sono, e rispetto alle pressioni si può efficacemente intervenire, come da punto precedente. Invece il metodo, nella sua “corretta” applicazione non è un insieme di comportamenti deviati, ma la legittima metodologia (appunto) di lavoro rispetto alla quale la legge riconosce all’azienda la più ampia autonomia organizzativa. Come affrontare questo problema? Scopriamolo nel punto successivo.

Ma prima ricordiamoci che “The Wolf of Wall Street” è una storia vera. I protagonisti fanno davvero i soldi. E poi, altrettanto davvero, finiscono in galera.

La grande inconsapevolezza
Ovvero perché gestire il denaro non è come vendere hamburger, e neanche auto di lusso

Se l’ignoranza commerciale è la malattia dell’attuale attività bancaria, qual è la sua causa scatenante, il virus che si aggira incontrollato per le filiali? Ovviamente trattandosi di ignoranza, il virus non può che essere la mancanza di cultura. Nel nostro caso la mancanza di cultura creditizia. Ovvero la coscienza che il denaro NON è merce come qualsiasi altra. Trattare denaro non è come vendere hamburger. Ma non è nemmeno come vendere un qualsiasi altro bene o servizio, persino quelli di lusso, anche i più cari in assoluto. La differenza, diversamente da come si tende a credere, non sta nel valore intrinseco delle transazioni. Sta invece nel valore soggettivo annesso al bene “denaro”, nel suo valore percepito collettivamente e nell’imponente quantità di normative che si sono stratificate a tutela della stabilità sociale collegata ad esso.

Poiché i prodotto finanziari sono merce che viene venduta e acquistata, è chiaro che anche in questo mercato si possono mettere in campo le tecniche di vendita tipiche di un marketing più o meno aggressivo e spregiudicato. È possibile essere insistenti con i clienti, cercare di coinvolgerli, lavorare sull’entusiasmo, mostrare loro solo gli aspetti positivi di un determinato prodotto, solleticare le loro aspirazioni (anche le più irrealistiche), omettere i rischi, fare leva sulle paure, creare una falsa idea di sicurezza. Si può persino pensare di barare appena appena, di forzare un po’ le cose. Magari all’inizio solo un po’ e poi…

Ora, se applichiamo queste tecniche a un qualsiasi altro prodotto di qualsiasi valore, generalmente il rischio più grande è quello di avere clienti insoddisfatti. Diciamo che se con pubblicità ammiccanti e offerte scontate rimpinzo i miei clienti adolescenti con cibo spazzatura e bevande ipercaloriche (il tutto ovviamente in palese violazione dei loro interessi e perfino della loro salute) il peggio che mi può capitare è di dover affrontare qualche snobistica campagna d’opinione, ma certo nulla che chiami in causa legalmente le mie responsabilità. Allo stesso modo se convinco un attempato neopensionato che con i soldi della liquidazione può comprarsi l’ultimissimo modello di auto sportiva e per questa via ottenere i favori di qualche avvenente fanciulla non correrò alcun rischio. In effetti non solo non mi devo preoccupare se alla prova dei fatti nessuna fanciulla sarà davvero impressionata, ma nemmeno se il signore in questione sarà in grado di guidare l’auto che gli ho venduto. Anzi, in realtà non mi devo nemmeno preoccupare se il mio cliente abbia o meno la patente. Eppure sono in gioco moltissimi soldi, forse persino la differenza tra un’esistenza dignitosa e un futuro molto incerto.

Ma se invece applico queste tecniche alla merce denaro (per qualsiasi valore, anche il più basso) il rischio a cui mi espongo è elevatissimo. Coinvolge la banca nel suo insieme per non aver messo in atto i dovuti strumenti di vigilanza e coinvolge direttamente chi ha operato in violazione di questi strumenti (o ancora peggio di regolamenti esterni o leggi) in modo diretto e inescusabile. E’ bene ricordare come la tutela del risparmio in Italia sia una questione presa molto sul serio. La nostra Costituzione dedica l’intero art. 47 alla sua tutela e alla disciplina dell’attività creditizia. Ne consegue che il concetto di adeguatezza dell’operazione finanziaria è tutt’altro che da sottovalutare.

Stando così le cose è molto importante riflettere attentamente sulla natura della merce che trattiamo e sulle implicazioni delle tecniche che adottiamo. Recuperare la cultura creditizia non è un vezzo snobistico. Rispettare scrupolosamente regolamenti e procedure non è un tentativo di boicottare la banca e i suoi obiettivi, così come non è un sotterfugio per giustificare i propri risultati o ancora il tentativo di soddisfare una propria morale troppo rigida e inadatta ai tempi. E’ invece il necessario prerequisito per svolgere correttamente il compito di nostra competenza.

Contrariamente alla visione distorta che si sta radicando, le regole NON sono un intralcio sulla via del conseguimento del budget. Le procedure con i relativi controlli NON sono un cervellotico impiccio partorito da menti malate che non hanno idea di cosa voglia dire lavorare e che quindi devono essere forzate e aggirate nei modi più fantasiosi. Regole e procedure sono i nostri migliori alleati contro la malattia che stiamo combattendo: l’ignoranza commerciale.

Tutte le risposte
Ovvero la cosa più importante quando hai le risposte è non permettere che ti cambino le domande

A questo punto possiamo darci le risposte alle domande che ci siamo posti all’inizio di questo viaggio.

“Cosa possono chiedermi e cosa no?” Possono chiederti di vendere i vari prodotti disponibili: siamo un’azienda commerciale e questo facciamo. E’ l’azienda che definisce i prodotti, la loro composizione, i target reddituali e di collocazione: è un suo diritto che le viene indubitabilmente riconosciuto dall’insieme dell’ordinamento vigente. In conseguenza possono chiederti di vendere e di farlo garantendo una prestazione attiva e intensa, orientata agli obiettivi. Ma NON possono chiederti di farlo in violazione degli interessi dei clienti e tantomeno di leggi e regolamenti forzando delle procedure. NON possono chiederti report ossessivi o programmazioni di risultati, soprattutto utilizzando strumenti autogestiti aggiuntivi a quelli proceduralmente stabiliti. Se subisci una o più di queste richieste, chiama immediatamente il tuo sindacalista.

“Posso prendere delle decisioni in autonomia?” Assolutamente sì. E’ l’azienda a stabilire le linee guida della sua attività e come tali devono essere seguite: siamo lavoratori dipendenti e questo, tra le altre cose, implica inequivocabilmente il dovere di applicazione delle direttive. Ma sei tu a conoscere il cliente specifico, le sue esigenze reali, le sue caratteristiche: questo non è certo un limite, ma un patrimonio da utilizzare. L’equilibrio tra dovere di esecuzione e autonomia operativa è spesso sottile e non facilmente standardizzabile: quando hai un dubbio chiama il tuo sindacalista e parla con lui.

“Come posso difendermi se subisco vessazioni di qualche genere?” Le vessazioni in ambito commerciale sono le più diverse. Vanno dalle pressioni più becere ed esplicite alla costruzione del senso di inadeguatezza; dalle minacce esplicite all’induzione di un meccanismo di coinvolgimento malato su obiettivi sbagliati e pericolosi. Come in tutti i casi di vessazione, il primo passo è prenderne atto. Il secondo è parlarne. Con gli altri colleghi nella stessa situazioni, per uscire dal senso di isolamento; ma soprattutto con il tuo sindacalista. Noi conosciamo bene queste situazioni e siamo in grado di intervenire efficacemente.

“Che cosa devo, ma soprattutto, cosa NON DEVO assolutamente fare?” Devi lavorare con coscienza e serietà, cercando di coniugare gli interessi dei clienti con gli obiettivi aziendali ed entrambi con il tuo equilibrio psicofisico. In nessun caso e per nessun motivo devi ignorare o violare le disposizioni interne ed esterne in tema di tutela del risparmio, gestione del credito, prevenzione del crimine. Allo stesso modo in nessun caso e per nessun motivo puoi forzare o aggirare le procedure aziendali di qualsiasi genere. Non c’è invito, autorizzazione o persino minaccia di qualche capo, così come non c’è nessuna forma di autoresponsabilizzazione rispetto a un qualche obiettivo che possa giustificare questo genere di violazioni. Forzare una Mifid, creare artificiosamente disponibilità, vendere FIP a ottantenni, non verificare la correttezza della documentazione a corredo di richieste di finanziamenti sono sempre delle pessime idee. Prima di metterle in atto fermati un momento e… chiama il tuo sindacalista.

Queste insomma sono le risposte giuste alle domande importanti. Le domande fondamentali, più che altro. Non lasciare che te le sostituiscano con “Quante ne hai fatte?”, o “Quanto ti manca al budget?”. Perché in realtà nessuno è mai stato sanzionato per non aver raggiunto il budget (nonostante molti credano il contrario), mentre moltissimi lo sono stati per non aver rispettato le regole.

La Banca non esiste, again
Ovvero anche se siamo tutti colleghi non vuol dire che facciamo tutti lo stesso lavoro.

Bene, sembrerebbe che siamo arrivati in fondo. O come abbiamo detto all’inizio, che siamo tornati da dove siamo partiti. Magari con qualche strumento in più. O anche solo con il promemoria che questi strumenti esistono ed è bene non lasciarli troppo da parte.

Visto che abbiamo rispolverato la nostra cassetta degli attrezzi, approfittiamone per aggiungerne un altro. Perché, anche se facciamo mente locale, se prestiamo più attenzione, se riordiniamo la nostra scala di priorità, qualcosa può andare storto comunque. Un errore, una distrazione, una leggerezza possono sempre capitare. E se capitano, e non è stato possibile rimediare e la cosa ha finito con il coinvolgere Uffici Controlli, Audit e così via, allora bisogna avere ben presente una cosa.

Uffici controlli, Audit, Ufficio del Contenzioso con il Personale sono funzioni interne, e quindi sono esercitate da colleghi a tutti gli effetti. Ma essere colleghi vuol dire essere dipendenti della stessa azienda, NON vuol dire fare lo stesso lavoro o avere gli stessi compiti e obiettivi.

Le Funzioni di Controllo e Ispettive non hanno nulla a che spartire con il raggiungimento degli obiettivi di budget. I colleghi di queste funzioni sono pagati per presidiare il rigoroso rispetto delle norme e indagare sulle cause che hanno determinato il verificarsi di situazioni anomale o pregiudizievoli a qualunque titolo (economico, giudiziario o di immagine) dell’azienda. A tutti gli effetti hanno un compito di polizia interna e, come giusto, lo esercitano al meglio delle loro capacità. Mentre siamo al lavoro non sono amici, ma appunto colleghi. Colleghi che però hanno un altro compito, diverso dal nostro: il loro compito è controllare il nostro lavoro e indagare su di esso e sui nostri comportamenti.

Questo è un punto fondamentale. Quando qualcosa è andato storto, chiamate il vostro sindacalista e confrontatevi con lui; il più velocemente possibile e prima di recarvi a colloqui formali sul vostro operato. In ogni caso valutate attentamente ogni dichiarazione che fate, poiché verrà verbalizzata e vi verrà chiesto di sottoscriverla. Per inciso, l’idea di non sottoscrivere il verbale non è particolarmente funzionale alla propria linea di difesa. Il fatto di non essere disponibili a sottoscrivere le proprie dichiarazioni generalmente non viene interpretato come la disponibilità a collaborare propria di chi è innocente. Peraltro le dichiarazioni vengono verbalizzate comunque: proprio per questo ai colloqui formali sono sempre presenti almeno due rappresentanti aziendali. Concretamente il fatto di non aver firmato il verbale con le vostre dichiarazioni, significa solo che non ne avrete una copia, cosa che invece potrebbe esservi molto utile nel caso in cui l’azienda decida di avviare una contestazione disciplinare. Se non altro perché anche a una certa distanza di tempo potrete sapere con certezza che cosa avete e non avete detto alle Funzioni di Controllo ed evitare così contraddizioni. Il verbale infatti NON è la conclusione dell’iter relativo alle vicende in causa: generalmente è il semplice avvio di tale iter. Tutta la documentazione raccolta, insieme alle vostre dichiarazioni (firmate o meno) verrà inoltrata dalle Funzioni Ispettive all’Ufficio Contenzioso del Personale. Né più né meno come la Polizia al termine delle indagini passa i fascicoli alla Magistratura, per la fase istruttoria del processo.

Questo è un altro punto fondamentale. L’intero iter delle questioni disciplinari si svolge attraverso un canale che non ha nulla a che vedere con la filiera Commerciale e, nei fatti, neanche con i Responsabili del personale di Area. Contrariamente all’opinione comune, i Capi del Commerciale che dovessero avervi indotto con pressioni varie a comportamenti non allineati alle regole, o anche solo dovessero avervi mostrato tutta la loro soddisfazione per i brillanti risultati che ottenevate, invitandovi a continuare sulla stessa linea NON saranno in grado di difendervi. E non solo e non tanto perché magari non hanno l’intenzione di farlo, ma proprio perché quello che agli occhi di un capo ammalato di “vendita a tutti i costi” potrebbe sembrare un’attenuante, agli occhi di chi presidia le regole non è altro che un’aggravante. Allo stesso modo non è con i Gestori del Personale di Area che dovrete argomentare le vostre ragioni (se l’iter andrà avanti e porterà a un lettera formale di contestazione disciplinare), ma appunto con l’Ufficio Contenzioso del Personale che – ripetiamo – è una funzione giudicante, separata dalla gestione ordinaria del Personale. A maggior ragione, se mai doveste ricevere una contestazione disciplinare formale è assolutamente necessario che vi mettiate immediatamente in contatto con il vostro sindacalista. Avrete solo 5 giorni di calendario per rispondere alle
contestazioni che vi vengono mosse, e per farlo nel modo migliore per voi.

In conclusione

Così come combattere un comportamento deviato NON è una cosa che si fa una volta per tutte, ancor di più cambiare mentalità e ricostruire una cultura è un compito arduo, lungo nel tempo e soprattutto che NON può essere delegato. La FISAC si sta impegnando molto in questa direzione: organizza convegni, prende posizioni pubbliche, fa proposte in sede di contrattazione, presidia e interviene concretamente sul territorio. Ma tutto questo non è sufficiente da solo. Occorre che la creazione di un diverso modo di fare banca sia un obiettivo di tutti e che ciascuno assuma su di sé un pezzettino di questo compito, a incominciare dai propri comportamenti. Qui c’è l’elenco dei nostri Sindacalisti che presidiano il territorio, in aggiunta a quelli che lavorano direttamente in alcune filiali. Ci sono i loro riferimenti e la porzione di territorio di loro competenza. Contattateci, confrontatevi con noi e iniziamo a costruire insieme un nuovo modo di stare in banca.

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