Ve lo immaginate vostro nonno di 80 anni che sta in un paese collinare, in cui la filiale più vicina è a 30 chilometri e che per fare un bonifico o pagare una bolletta deve accedere con lo smartphone o il computer ad una app, in un posto dove non c’è il wifi e la fibra non arriverà mai? Questa è la mitologica “digitalizzazione” per molti cittadini italiani. Questo è il risultato della desertificazione dei servizi bancari (che erogano secondo la legge un “servizio pubblico essenziale”), accompagnata spesso dall’abbandono sugli stessi territori dei servizi di trasporto e sanitari. Questa è la “tutela del risparmio” garantita dalla Costituzione. Questo è il quadro degno di un film di Ken Loach, e diventerà sempre più frequente con il procedere impetuoso e inarrestabile del processo di aggregazione delle banche in tre o quattro grandi gruppi oligopolistici.
Non è una previsione, è quello che accade. Migliaia di sportelli vengono e verranno chiusi in nome della “filiale moderna”, un sogno popolato da umanoidi che ti aiutano a compiere le operazioni e ti assistono nella risoluzione dei problemi, la frontiera che prenderà il posto dell’assistenza telefonica, già disumana e inefficiente ma almeno un operatore umano che risponde dall’Albania puoi ancora trovarlo, se riesci a uscire indenne dal labirinto delle dieci opzioni commerciali che fanno da scudo al suo intervento. Come evidenzia Daniele Quiriconi, segretario regionale Fisac CGIL della Toscana in questo articolo:
“Se l’algoritmo che sovrintende le scelte organizzative di oligopoli finanziari che macinano miliardi di utili invitando in automatico a chiudere le filiali di tre dipendenti, spostare migliaia di lavoratori e lasciare milioni di cittadini senza un servizio costituzionalmente garantito, procede inesorabile e la protesta di sindacati, sindaci, associazioni dei consumatori nulla ha potuto finora, forse la politica dovrebbe interrogarsi sulle conseguenze dell’ampliamento di periferie sociali oltre che geografiche, che queste scelte alimentano. E che colpiscono i ceti più popolari e più fragili“
Questa corsa al puro abbattimento dei costi (lo chiamano “efficientamento”), alle aggregazioni favorite da robusti sconti fiscali, all’impiego ingente di denaro pubblico per salvare la capitalizzazione di istituti sistemici, dovrebbe avere come contropartita la richiesta di garanzie per i lavoratori e per i clienti. Questo dovrebbe essere il compito della politica: se ti erogo denaro dei cittadini, quegli stessi cittadini che sono anche lavoratori e clienti dovrebbero beneficiare di un servizio migliore, di tutele professionali e territoriali per il proprio lavoro. Invece succede che il ruolo dello Stato si ferma all’erogazione di denaro, e per il resto vige il laissez-faire: altro che dirigismo, qui siamo al liberismo economico(apoteosi della teoria del libero mercato come autoregolatore) alimentato però dal denaro pubblico. Peccato che il “libero mercato” , che dovrebbe essere garanzia di concorrenza, stia portando ad un oligopolio alla Kurgan del film Highlander, quando dice “ne rimarrà uno solo”. Peccato che questa direzione obbligata peggiori le condizioni dei lavoratori: quelli che vengono “spintaneamente” accompagnati fuori dall’azienda, anticipandone la quiescenza, non sono infatti sostituiti in pari misura da forze fresche, con il risultato che chi resta in ufficio o allo sportello rimane sempre “sott’acqua”, affogato dai carichi di lavoro e dalle pressioni alla vendita. I clienti al contempo non vengono soddisfatti nei bisogni reali, ma vengono agganciati per creare loro dei bisogni immaginari. Così può capitare che un privato cui è appena stato negato un prestito venga agganciato dalla stessa banca che glielo ha negato per cedere il quinto dello stipendio in cambio di un prestito, perchè quella è la campagna in voga. Così può capitare che il capetto, più realista del re, imponga ai subalterni la concessione di un mutuo solo a condizione che il cliente sottoscriva anche una polizza vita, con buona pace di ogni regola nemmeno etica, ma di banale valutazione del merito creditizio.
Sotto i nostri occhi, le banche si stanno trasformando da infrastrutture di sostegno ai territori a negozi di pura vendita: sono disposto a darti soldi solo se con quei soldi compri un mio prodotto. Le cosiddette “operazioni baciate” rischiano di diventare il core business di aziende che sono disposte a stravolgere ogni regola della loro tradizione al fine di perpetuare l’unica regola che non può cambiare: quella del massimo profitto per il grande azionista.
Articolo di Nicola Cavallini su www.Ferrara Italia.it