Inform@fisac novembre 2017

 

Come e quando il datore di lavoro può modificare la mansione del dipendente

 

A partire dal 25.06.2015 a tutti i lavoratori subordinati, anche se assunti precedentemente a tale data, si applica il nuovo art. 2103 c.c., come modificato dal Testo Unico di Riordino dei Contratti di Lavoro (D.Lgs. n. 81/2015).

La norma riguarda il cosiddetto ius variandi, vale a dire Il potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente la mansione del lavoratore, quindi anche senza il consenso dell’interessato.
Prima della riforma valeva il principio della immodificabilità in peggio della mansione e della irriducibilità della retribuzione. Per espressa previsione di legge, ogni patto contrario era nullo.

L’attuale testo dell’art. 2103 recita:

Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a quelle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

La parte in neretto ha sostituito la precedente formulazione, che parlava di mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.
La modifica conferisce al datore di lavoro il diritto ad uno ius variandi (unilaterale) più ampio e più flessibile in quanto si supera la precedente necessità di individuare “mansioni equivalenti”.

Con la precedente norma, infatti, in caso di contestazione da parte del lavoratore, il Giudice, per accertare la legittimità del cambio di mansioni non si limitava a verificare l’eguaglianza retributiva e la riconducibilità delle nuove mansioni al medesimo livello di inquadramento contrattuale, ma si accertava che sussistesse l’equivalenza professionale.
Oggi invece il datore di lavoro potrà assegnare unilateralmente il dipendente a qualsiasi mansione purché riconducibile allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte, con riferimento solo alle declaratorie ed ai profili professionali del contratto collettivo.

Un esempio per chiarire meglio il concetto: un quadro direttivo potrà essere adibito a qualsiasi mansione, anche se precedentemente svolta da lavoratori con inquadramento inferiore, purché i suoi nuovi compiti rientrino tra quelli che possono essere svolti da appartenenti alla categoria dei quadri direttivi.

In caso di “modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore”, il datore di lavoro può assegnare a quest’ultimo mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore purchè rientranti nella medesima categoria legale.
Questo significa che, a seguito di modifiche dell’attività produttiva o dell’organizzazione del lavoro, il datore di lavoro può attribuire al lavoratore mansioni appartenenti ad un livello contrattuale più basso,  pur mantenendo il medesimo inquadramento.

Le contrattazione collettiva potrà disciplinare ulteriori ipotesi nella quali il datore di lavoro sarà legittimato a demansionare, con i limiti di cui sopra, il lavoratore.
In questi casi il mutamento di mansioni deve avvenire con determinate garanzie:
1. Dev’essere accompagnato, “ove necessario” dall’assolvimento dell’obbligo formativo (la cui violazione, tuttavia, non determina la nullità della assegnazione);
2. Dev’essere comunicato per iscritto “a pena di nullità”;
3. Non determina un abbassamento del livello di inquadramento;
4. Non può comportare una riduzione del trattamento retributivo.

Queste garanzie, tuttavia, possono venire a mancare in situazioni particolari, come prevede il sesto comma del rinnovato art. 2103, che prevede la possibilità di sottoscrivere accordi bilaterali che comportino peggioramenti delle mansioni, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione. Ciò quando tali modifiche rispondano alla necessità:
1. Di conservare il posto di lavoro del dipendente
2. Di acquisire una diversa professionalità
3. Di migliorare le condizioni di vita personali.

Anche in questo caso facciamo un esempio. Un quadro direttivo preposto ad una filiale che viene soppressa potrebbe essere posto di fronte alla prospettiva di un trasferimento a centinaia di Km di distanza; in alternativa, l’Azienda potrebbe proporgli, al fine di “migliorare le sue condizioni di vita personali un accordo bilaterale con il quale accetta un peggioramento dell’inquadramento e di conseguenza una retribuzione più bassa pur di restare nei pressi del Comune di residenza.

L’articolo 2103 regolamenta anche i casi in cui il lavoratore si trovi a svolgere mansioni superiori rispetto al suo inquadramento; in questo caso ha diritto al trattamento normativo ed economico corrispondente all’attività svolta.
L’assegnazione diviene definitiva trascorso un periodo fissato dai contratti collettivi o aziendali o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi (In precedenza l’art. 2103 prevedeva un periodo di 3 mesi continuativi). Il lavoratore ha in ogni caso la facoltà di rifiutare l’assegnazione, rinunciando a vedersi attribuire l’inquadramento superiore.
Non si matura il grado nel caso in cui l’adibizione a mansioni superiori sia dovuta alla sostituzione di un lavoratore assente, con diritto di quest’ultimo a riprendere la mansione una volta cessata l’assenza.

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