Inform@fisac marzo 2018

 

SI PUO’ OBBLIGARE IL DIPENDENTE A FARE LE FERIE?

 

L’azienda deve comunicare per iscritto e con preavviso il periodo di ferie e tenere conto anche delle esigenze del lavoratore. Anche in caso di arretrati.

Una cosa è smaltire le ferie arretrate ed un’altra ben diversa è vedersi obbligati a fare le ferie in qualsiasi modo, senza un criterio ben definito. Il riposo coatto, chiamiamolo così, viola il Codice civile, com’è stato ribadito dalla giurisprudenza. In sostanza, un’azienda non può obbligare il dipendente a fare le ferie forzate con poco preavviso, senza tenere conto delle sue esigenze e solo per poche ore al giorno: il datore di lavoro sarebbe passibile di sanzione.


Come si stabilisce il periodo delle ferie

Secondo la normativa che regola le ferie, al dipendente spettano:

  • un giorno di riposo settimanale;
  • un periodo annuale di ferie retribuite, possibilmente continuativo, per una durata stabilita dalla legge, dai contratti collettivi e dagli usi.

Abitualmente (ma è una norma più dettata dall’uso che non dalla legge) il dipendente decide quando fare la metà del suo monte ferie, mentre l’altra metà la decide l’azienda in base alle esigenze lavorative.

Nel caso ci siano dei giorni arretrati, il datore di lavoro può obbligare il dipendente a fare le ferie? Tutt’al più, può dettare i tempi ma è tenuto a comunicare il periodo con un certo preavviso e concedendo al lavoratore di usufruire delle ferie in modo continuativo, cioè non frazionando i giorni.

Il Codice civile [1], infatti, sancisce che – dopo un anno di ininterrotto servizio – il dipendente «ha diritto ad un periodo di ferie retribuito, possibilmente continuativo, tenuto conto degli interessi dell’azienda e del prestatore di lavoro», cioè del dipendente stesso. Lo stesso articolo stabilisce che il datore di lavoro deve comunicare preventivamente al dipendente il periodo del godimento delle ferie. Va da sé che quel «preventivamente» non riguarda il giorno prima e nemmeno due [2].

Ma ci sono altri due passaggi da non sottovalutare. Uno, è quello che fa riferimento agli «interessi dell’azienda e del prestatore di lavoro». Significa che non si può obbligare il dipendente a fare le ferie (o tutte le ferie) solo quando l’azienda lo decide. Altro discorso è che, per esigenze del datore di lavoro, ci sia un periodo in cui il dipendente non può recarsi in ufficio o in fabbrica (pensiamo, ad esempio, alle chiusure aziendali di agosto o – per chi le adopera – durante il periodo natalizio). In questo caso, il resto del monte ore può deciderlo il lavoratore. Nel caso in cui venga obbligato a smaltire i giorni di riposo in modo coatto, l’azienda può essere condannata a reintegrare il monte ore di ferie maturate.

L’altro passaggio importante dell’articolo del Codice civile in materia di ferie, riguarda l’opportunità di godere di quel periodo «in modo continuativo». Sulla questione si è pronunciato il Tribunale di Pordenone [3], chiamato a pronunciarsi su una società che, ripetutamente, metteva le maestranze in ferie solo per qualche ora al giorno, a ridosso o in sostituzione dell’utilizzo della cassa integrazione, senza accordo con i sindacati e senza preavviso.

Per i giudici, obbligare il dipendente a fare le ferie in questo modo viola il Codice civile perché vengono decise in periodi frazionati e per «l’assenza di una preventiva comunicazione e di un qualche accordo sindacale in materia».

Inoltre, per il tribunale friulano, il datore di lavoro è tenuto a dare al dipendente comunicazione scritta riguardante le ferie, precisando nominativo, le ore di ferie da smaltire e data e periodo in cui devono essere godute.

Come si devono smaltire le ferie arretrate

Oggi la legge non consente più alle aziende di pagare le ferie arretrate per azzerare il monte ore. Il dipendente, dunque, deve usufruire di almeno due delle quattro settimane annue obbligatorie in modo continuativo durante l’anno stesso di maturazione. Il resto, anche frazionato (ad esempio tre giorni questa settimana, cinque giorni in un altro momento, ecc.) nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. A meno che non si tratti di una risoluzione del rapporto di lavoro (fine contratto, dimissioni, licenziamento), il periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute. Qualsiasi accordo che non rispetti i termini di legge è nullo [4].

L’azienda, inoltre, deve pagare i contributi previdenziali sulle ferie maturate, anche se non sono state godute, entro 18 mesi dalla fine dell’anno solare in cui sono state, appunto, maturate. Il periodo di fruizione delle ferie è stabilito dal datore di lavoro, purché, come dicevamo prima, tenga conto non solo delle sue esigenze ma anche di quelle del dipendente, le sue necessità personali, familiari o economiche. Appare ovvio, dunque, che si può obbligare il dipendente a fare le ferie solo in caso di chiusura aziendale, ma non in qualsiasi periodo dell’anno e ogni volta che il titolare della società abbia intenzione di farlo se ciò crea dei problemi al lavoratore.

note

[1] Art. 2109 cod. civ.

[2] Trib. Milano, sent. del 24 aprile 1996.

[3] Trib. Pordenone, sent. n. 121/2016.

[4] Cost. italiana, art. 36 co. 3.

Fonte: www.laleggepertutti.it

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