Gli Italiani grandi risparmiatori , ma un’ educazione finanziaria e previdenziale diventa necessaria, per una ottimizzazione dei risparmi e una maggiore tranquillità previdenziale
Pur essendo addetti ai lavori, occorre incentivare tra i lavoratori le adesioni alla Previdenza complementare. L’orizzonte pensionistico, sia esso vicino o lontano, pone diversi interrogativi e pertanto abbiamo necessità di fugare i dubbi piu’ frequenti di quanti si domandano se aderire o meno a una forma pensionistica integrativa. Aderire ad un Fondo pensione e nel contempo cercare di diffondere il piu’ possibile la cultura finanziaria di base, la possiamo considerare la giusta sintesi tra l’impiego del risparmio in termini di investimento, l’inizio di un percorso di costruzione di una pensione integrativa, che chiamiamo il secondo Pilastro aggiuntivo a quella obbligatoria, e un aiuto indiretto a un ‘Italia che , mai come oggi ha bisogno di tutte le risorse disponibili per ripartire |
Come e perché aderire a un fondo pensione: perché è bene pensarci da subito.
Con il metodo di calcolo contributivo la pensione sarà ancora sufficiente? O meglio pensare a una pensione di scorta? Le possibili risposte ad alcuni dei dubbi più frequenti di quanti si chiedono se aderire o meno a una forma pensionistica integrativa
Il sistema pensionistico italiano si fonda su un “patto intergenerazionale”: le pensioni attuali vengono cioè pagate con i contributi dei lavorativi attivi, le cui pensioni saranno poi pagate con i contributi dei giovani che entreranno nel mondo del lavoro. All’interno di questo sistema, fino agli inizi degli anni Novanta, si è adottato il cosiddetto metodo di calcolo retributivo, in virtù del quale la prestazione pensionistica viene calcolata in base alla media delle ultime annualità moltiplicata per un coefficiente di “proporzionamento” variabile tra il 2% e lo 0,9% annuo.
A partire dalla fine del secolo scorso, però, l’invecchiamento della popolazione, il calo delle nascite unito alle ricorrenti crisi economiche hanno costretto il legislatore a rivedere l’insieme del sistema di welfare pubblico, con il primario obiettivo del contenimento della spesa. Revisione che si è tradotta in una serie di riforme che prevedono il robusto aumento dell’età pensionabile e una pensione meno generosa, ottenuta passando al meno “generoso” metodo di calcolo contributivo con il quale la prestazione pensionistica viene calcolata moltiplicando il montante individuale dell’iscritto (vale i contributi versati dal lavoratore nella sua vita lavorativa rivalutati annualmente in regime d’interesse composto) per il cosiddetto coefficiente di trasformazione, che tiene conto sia dell’età del lavoratore al momento del pensionamento sia dell’aspettativa di vita.
L’introduzione sistema contributivo, quindi, fa sì che più si versa e per più anni lo si fa, maggiore sarà la pensione che si andrà a percepire.
La pensione “complementare” si costruisce, quindi, attraverso la sottoscrizione di fondi pensione a cui tutti possono aderire (lavoratori e non). I fondi pensione sono una specie di cassa comune-salvadanaio in cui confluiscono i contributi versati dai diversi iscritti, contributi che vengono gestiti in modo professionale e nel rispetto di precise regole d’investimento, per consentire poi di erogare le prestazioni in rendita periodica o capitale.
Sul mercato troviamo tre categorie di fondi pensione:
- I fondi chiusi o negoziali , istituiti dai contratti di lavoro, ai quali possono aderire i lavoratori dipendenti privati e pubblici di quella specifica categoria o comparto o base territoriale ed, eventualmente, i loro familiari;
- i fondi aperti ai quali possono aderire tutti i lavoratori sia dipendenti, sia autonomi o liberi professionisti e anche coloro che non hanno un lavoro (percettori di redditi diversi o persone a carico); si può aderire sia individualmente sia in modo collettivo (accordi aziendali, di studi professionali o servizi o tra lavoratori appartenenti ad una determinata categoria, come avviene per i fondi negoziali)
- i PIP (piani individuali pensionistici), vale a dire piani pensionistici gestiti mediante contratti di assicurazione sulla vita; solo ad adesione individuale, sono acquistabili da chiunque.
L’ormai celebre riforma Dini del 1995 ha rappresentato un epocale momento di svolta per il sistema pensionistico italiano: il metodo di calcolo della pensione – vale a dire il sistema con il quale è calcolato l’importo dell’assegno pensionistico cui si ha diritto – è cambiato radicalmente, quando il più vecchio (e generoso) sistema retributivo è stato sostituito dal sistema contributivo, esteso a quanti hanno iniziato a lavorare a partire dall’1 gennaio 1996 e quanti al 31 dicembre 1995 avevano maturato meno di 18 anni di contributi. Dall’1° gennaio 2012 (riforma Monti-Fornero), il sistema contributivo è stato poi esteso a tutti i lavoratori, anche quelli cui mancano pochi anni alla pensione.
Un cambiamento che ha reso ancor più importante interessarsi al proprio futuro previdenziale sin dalla giovanissima età. All’interno di questo regime pensionistico, infatti, la pensione cui si ha diritto è strettamente collegata alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa, e non più agli stipendi corrisposti durante l’ultimo periodo della propria vita professionale, così come accadeva invece con il sistema contributivo. I nonni e i papà dei “ragazzi di oggi” (che verosimilmente, proprio come accade ora con le nuove generazioni di lavoratori, non pensavano molto alla pensione da giovani, ma solo in età più matura), facevano cioè presto a calcolare l’importo della loro pensione, basandosi – ad esempio del caso di subordinati – sulle proprie ultime retribuzioni. Bastava cioè loro moltiplicare 2% per il numero di anni lavorati e applicare il risultato all’ultimo stipendio se dipendenti pubblici, a quello degli ultimi 5 anni se dipendenti privati, o ai redditi degli ultimi 10 anni se autonomi. Proprio perché gli ultimi stipendi di un lavoratore tendono a essere più elevati, vien da sé che questo sistema era in generale più conveniente per il futuro pensionato, e anche più facilmente “manipolabile”. Bastava infatti, a ridosso dalla pensione, rendersi conto di aver dichiarato redditi bassi, per avere comunque a disposizione un periodo di almeno 5-10 anni utile a costruirsi una rendita pensionistica dignitosa.
Dal 1996 non è però più così: il sistema contributivo funziona all’incirca come un libretto di risparmio, all’interno del quale il lavoratore, con il concorso dell’azienda (se dipendente) provvede ad accantonare annualmente parte della propria retribuzione (o del proprio reddito) sotto forma di contributi. È il montante così accumulato, opportunamente rivalutato sulla base della media quinquennale del PIL del Paese, a determinare l’effettivo importo della pensione. Con due importanti conseguenze:
- Più il Paese è economicamente in salute, più facilmente il pensionato potrà contare su una buona rendita
- Tutti i contributi versati, a cominciare da quelli accumulati in giovanissima età, sono essenziali al fine di costruirsi una (buona) pensione.
La pensione contributiva è infatti funzione di tutti i contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa.
Gli investimenti a impatto sociale.
Le società contemporanee stanno affrontando sfide inedite: la crescita e l’invecchiamento della popolazione, i cambiamenti climatici, la mutata domanda di servizi sanitari e socioassistenziali. Questioni che inevitabilmente impongono un ripensamento degli strumenti e delle strategie sui cui è basato il modello europeo di protezione sociale.
Il potenziale di crescita degli investimenti a impatto sociale può offrire un contributo al percorso di ammodernamento delle politiche per l’inclusione sociale e per l’ambiente. Come definito dal Rapporto Italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8, l’impact investing è “un’attività di investimento in imprese, organizzazioni e fondi che operano con l’obiettivo di generare un impatto sociale misurabile e compatibile con un rendimento economico”, e che si distingue per:
- l’intenzionalità dell’investitore di generare un impatto sociale;
- l’aspettativa di un rendimento economico che motiva l’investitore;
- la flessibilità del tasso di rendimento atteso che può posizionarsi al di sotto del livello medio di mercato o allinearsi ai rendimenti di mercato;
- la varietà degli strumenti finanziari utilizzati e delle forme di intervento che spaziano dal debito all’equity puro;
- la misurabilità dell’impatto, fondamentale per assicurare trasparenza e rendicontazione.
ESG e Silver Economy.
I dati che indicano la necessità di puntare su alcuni settori o pratiche sono evidenti, ma ignorati: è stato il caso dell’ambiente, rischia di esserlo quello della condizione degli over 65.
Che differenza c’è tra una moda e un’innovazione sociale? Forse il fatto che la prima è condivisa perché “si deve”, mentre la seconda si diffonde perché “ce n’è bisogno”. A ben guardare, questo è ad esempio quanto accaduto nei confronti della sostenibilità.
Fino a poco tempo fa, la sostenibilità era considerata un optional, un vezzo. Oggi, al contrario, è il biglietto da visita per ogni progetto che voglia presentarsi come credibile, dalla costruzione di un edificio all’avviamento di un ristorante, passando per un investimento finanziario.
Ecco perché attivare risorse e ingegno in questo ambito è una mossa vincente: la domanda di beni e servizi specificamente rivolti ai senior crescerà sempre di più, e di conseguenza l’offerta, a svantaggio di chi si muoverà tardi. Lo ha dimostrato questo nefasto 2020, del resto: le società che hanno colto al volo i bisogni della popolazione, dalle mascherine ai termoscanner, hanno colto al volo un’occasione più unica che rara: ciò che serve è la lungimiranza, dunque, parola chiave per muoversi in anticipo e farlo con le idee chiare.
Italiani, tanto risparmio ma serve più educazione finanziaria e previdenziale.
Tra le tante evidenze che la pandemia di COVID-19 ha contribuito a far emergere c’è anche la conferma di quanto gli italiani si meritino l’appellativo di grandi risparmiatori, anche se rimane marcata la carenza di educazione finanziaria e soprattutto previdenziale
Che gli italiani siano un popolo di formiche non è cosa nuova ma, in questo difficile momento storico, è importante evidenziare che cresce, ancora di più, la loro propensione al risparmio. Se di per sé certamente questo atteggiamento non è un male, il rovescio della medaglia mostra in particolare che l’allocazione di questi risparmi risulta molto spesso inefficiente e soprattutto non aiuta la difficile ripresa che ci attende.
Come testimonia l’indagine Acri-Ipsos “Gli Italiani e il Risparmio” presentata in occasione della 96° Giornata Mondiale del Risparmio, l’accumulo di liquidità garantisce al 46% degli italiani un senso di tranquillità, identificandolo come una forma di autotutela per le incognite del futuro.
Sono anche i concetti di base della finanza quali il differente grado di rischiosità tra un’azione e un’obbligazione, cosa rappresenta l’inflazione, cos’è il tasso di interesse etc. a essere ancora diffusamente assenti o poco chiari tra una grande fetta di adulti e soprattutto di giovani.
L’ingente quota di liquidità che effettivamente potrebbe essere destinata verso investimenti “utili”, soprattutto in questa fase di crisi, anche verso il sistema Paese, rimane di difficile realizzazione se non cresce l’alfabetizzazione finanziaria dei risparmiatori.
Ma come fare allora a coniugare la grande potenza di fuoco del capitale privato delle famiglie, la spinta verso una migliore allocazione del loro risparmio e, perché no, il sostegno all’economia nazionale?
La previdenza complementare come sintesi tra risparmio e investimento.
Accanto infatti alla “semplice” educazione finanziaria, l’altro tema spesso colpevolmente trascurato è quello della propria pensione futura. Come detto, e come evidenziano molteplici ricerche, nonostante i più giovani comincino a interessarsi e farsi promotori di una finanza green e sostenibile, sono ancora molto distanti dal comprendere l’importanza di pensare per tempo alla propria pensione, in particolare quella integrativa, e alla finanza in generale.
Non entrando volutamente in questa sede nello specifico funzionamento del sistema previdenziale pubblico, è sempre più evidente quanto sia importante dotarsi, fin da giovani, di una forma pensionistica complementare che vada ad aggiungersi all’assegno che si riceverà una volta entrati in quiescenza. Ma non c’è solo l’aspetto previdenziale da considerare: dotarsi di un fondo pensione potrebbe essere la giusta sintesi tra l’impiego del risparmio a fini di investimento e la necessità di ricevere “domani” una prestazione pensionistica integrativa per cercare di mantenere il quanto più possibile inalterato il proprio tenore di vita una volta cessata l’attività lavorativa.
I vantaggi di aderire a queste forme di risparmio a fini previdenziali sono molteplici e da non trascurare, in particolare rispetto a molti altri prodotti finanziari (più costosi) in cui si potrebbe decidere di investire parte della propria liquidità accantonata. In primo luogo, c’è quello fiscale, derivante dall’intera deducibilità dei contributi versati fino a un massimo annuo di 5.164,57 euro, nonché di vedere applicata un’imposta sostitutiva del 20% su interessi e plusvalenze realizzate anziché del 26%. Inoltre, la contribuzione alla previdenza complementare, tipicamente effettuata durante l’intera vita lavorativa e oltre, consente di accedere a uno strumento dove il versamento del risparmio è dilazionato nel tempo, per cui non serve un ingente capitale di partenza per effettuare l’investimento.
Altro elemento di fondamentale importanza e valutazione è rappresentato dalle differenti linee di investimento che ciascun fondo mette a disposizione dei propri aderenti, che consentono di soddisfare la personale propensione al rischio ma anche e soprattutto di gestire al meglio le differenti fasi di vita dell’iscritto. Perché, e qui interviene ancora una volta l’educazione finanziaria di base che auspicabilmente dovrebbe diffondersi il più possibile, durante la propria vita è bene rimodulare il livello di esposizione al rischio dell’investimento effettuato e le modalità di risparmio in base alle mutate esigenze di spesa.
Da ultimo, ma non meno rilevante, c’è appunto il tema in precedenza accennato del sostegno all’economia reale nazionale. Se infatti è ancora in rampa di lancio l’accessibilità del piccolo risparmiatore a strumenti di investimento dedicati al sistema Paese, gli investitori istituzionali e in particolare i fondi pensione stanno sempre più consolidando il loro ruolo di sostegno alle imprese non quotate e, di riflesso, al lavoro stesso.
Aderire a un fondo pensione, e al contempo cercare di diffondere il più possibile la cultura finanziaria di base, potrebbe rappresentare una buona sintesi tra l’impiego di risparmio in termini di investimento, l’inizio di un percorso di costruzione di una pensione di scorta e l’aiuto indiretto a un’Italia che, mai come oggi, ha bisogno di tutte le risorse disponibili per ripartire.