Nell’anno che si è chiuso la pressione fiscale ha raggiunto il suo massimo storico. Il peso di 5 manovre fiscali in 2 anni, quattro ad opera del precedente governo e una di quello in carico, sfiora i 230 miliardi di euro.
L’impatto di queste manovre, tra minori spese e maggiori entrate, incide però in maniera molto differente rispetto ai territori.
Infatti secondo lo Svimez, maggiori tagli e tasse peseranno nel Sud per il 6% del Pil e al Centro-Nord per il 4,7%.
Anche il taglio di 7.000 miliardi di euro ai circa 8000 comuni italiani, che così avranno dal 2013 minori risorse nella misura del 14,5% del totale, produrrà una differente ricaduta tra le grandi città: Napoli sarà la più colpita con 236 euro di risorse in meno per ogni abitante, rispetto ai 227 di Milano, ai 219 di Bologna, ai 220 di Torino, ai 172 di Roma.
Tagli che si sommano all’aumento delle Addizionali Irpef, all’aumento delle accise sui carburanti, ai tickets sanitari, alla tarsu, agli aumenti dell’imposta provinciale di trascrizione, fino alla tassa sulla polizza RCauto che passerà dal 12% attuale al 15%.
Tutte imposizioni fiscali che al Sud erano già decisamente più alte e che concorreranno ulteriormente ad approfondire la recessione in atto e ad allargare ancor più il divario tra il Nord e il Sud. Con il risultato che a fronte di servizi locali spesso scadenti, i cittadini del Sud pagheranno anche di più.
Una realtà impositiva che disegna una vera e propria “fiscalità di svantaggio”, in un territorio che meriterebbe ben altre misure di crescita e di sostegno.
Misure positive che non hanno alcun riscontro nel progetto “Crescitalia” del governo Monti. Confermando così quel malinteso senso dell’ equità, per cui questo Governo mette sullo stesso piano la ‘questione meridionale’ e la ‘questione settentrionale’.
E se è impensabile che una crisi così profonda si possa affrontare solo con tagli e nuove tasse, è ancor più inaccettabile che a pagare i costi maggiori sia la parte più povera del Paese.
Gennaio 2012