SALUTE E SICUREZZA: INIDONEITA’ ALLA MANSIONE
Prima di considerare le possibilità di adibizione del lavoratore divenuto inidoneo alla mansione, dobbiamo richiamare le decisioni costituzionali poste a presidio di alcuni beni fondamentali:
– il diritto al lavoro (art. 4) “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”; (art. 5) “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”;
– il diritto ad una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia (art. 36) “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”;
– il diritto alla salute, tutelata come bene fondamentale dell’individuo e interesse della comunità (art. 32) “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
L’art. 41 del Decreto Legislativo n. 81/2008 prevede che il medico competente abbia il compito di effettuare la sorveglianza sanitaria che comprende:
- visita medica preventiva finalizzata a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica.
- visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione La periodicità di tali accertamenti, se non prevista dalla normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno, ma può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
- visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
- visita medica in occasione del cambio della mansione per verificare l’idoneità alla mansione specifica;
- visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa;
- visita medica preventiva in fase preassuntiva;
- visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un’assenza per motivi di salute superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.
Le visite mediche, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite sono finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti.
Le visite di sorveglianza sanitaria non possono essere fatte per:
- accertare stato di gravidanza
- accertare altri casi previsti dalla normativa vigente (come, ad esempio è stabilito, nell’ipotesi di sieropositività, dall’art. 6 della legge n. 135/1990).
Al termine della visita viene effettuata una valutazione dei rischi e degli eventuali rimedi per tutelare la salute del lavoratore.
Il medico competente (art. 41 del Dlgs. 81/08 – comma 6), sulla base delle risultanze delle visite mediche esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
– idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
– inidoneità temporanea;
– inidoneità permanente.
Il successivo comma 7 decide che nei casi di inidoneità temporanea vadano specificati i limiti temporali di validità del giudizio.
In realtà sarebbe opportuno intervenire sulla norma, allargando l’obbligo di specifica anche all’idoneità parziale temporanea. Non tanto e non solo perché, secondo logica, ciò accade già nella pratica; quanto, piuttosto, perché la stessa idoneità con prescrizioni comporta il rischio della risoluzione del rapporto di lavoro.
Il medico competente deve perciò sempre esprimere il proprio giudizio sulla idoneità e in forma scritta, consegnando copia del giudizio stesso al lavoratore e al datore di lavoro.
Rispetto al passato, oggi l’idoneità è strettamente correlata “alla mansione specifica” e non, più in generale, al posto di lavoro e ciò presuppone da parte del medico competente una conoscenza dell’ambiente di lavoro.
Gli esiti della visita medica devono sempre essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio (art. 25, comma 1, lett. c) in base ai requisiti minimi di cui all’Allegato 3A e predisposta su formato cartaceo o informatico ex art. 54, decreto 81.
L’idoneità è sempre riferita alla mansione specifica.
L’art. 41, comma 9, prevede che contro i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
Inidoneità alla mansione: Legge 81/08, codice civile e giurisprudenza
Secondo la Cassazione
“il lavoratore, licenziato dal datore di lavoro a seguito dell’accertamento di inidoneità da parte del medico può in ogni caso impugnare il licenziamento contestando l’accertamento ed al giudice del lavoro è rimesso il sindacato sulla correttezza del giudizio espresso, anche disponendo consulenza tecnica d’ufficio (nella specie il tribunale ha anche affermato che non è conforme a buona fede e correttezza il comportamento del datore di lavoro che ha licenziato il lavoratore immediatamente dopo l’accertamento di inidoneità senza attendere che trascorresse il termine per impugnare il giudizio dinanzi all’organo di vigilanza)”
(Corte appello Bari, 15 luglio 2003).
L’art. 42 – comma 1 del Decreto Legislativo n. 81/2008 prevede che “il datore di lavoro, nel caso di inidoneità alla mansione specifica, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.
La legge n. 68/1999 tutela innanzitutto la salute del lavoratore disabile e il suo posto di lavoro che prevale sulla posizione professionale acquisita.
Si sottolinea che la locuzione “ove possibile” sta di fatto a significare che, se l’azienda non dispone di mansioni alternative può anche procedere al licenziamento. Per questo si raccomanda prudenza nel richiedere l’accertamento del medico competente procedendo, eventualmente, con la consulenza ed assistenza delle organizzazioni sindacali o di ente di patronato.
Dunque il D.Lgs. n. 81/2008 art. 42 prevede che il datore di lavoro, qualora il medico competente giudichi un lavoratore inidoneo alla mansione specifica, debba adibirlo, “ove possibile”, ad altra mansione equivalente, superiore o inferiore che sia, compatibile con il suo stato di salute, con diritto alla conservazione della retribuzione corrispondente alle mansioni precedenti.
Il decreto 106/2009, così modificando l’art. 42, ha eliminato il riferimento originario sia al mantenimento “della qualifica originaria” in aggiunta alla conservazione dello stesso trattamento retributivo, sia all’applicazione dell’art. 2013 c.c. [art. 2103 Mansioni del lavoratore – Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (att. 96) o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.
In caso di adibizione a mansioni inferiori, è peraltro ora espressamente prevista, in positivo, la possibilità di deroga al divieto di demansionamento di cui all’art. 2103 c.c., ed è dunque autorizzato il demansionamento al solo fine di tutelare la salute del lavoratore, con la conservazione della superiore retribuzione originaria.
La Suprema Corte aveva peraltro anticipato con i propri consolidati orientamenti detta previsione legislativa, sottolineando che non ci sono ragioni per ritenere nullo l’eventuale accordo tra datore di lavoro e lavoratore rivolto ad evitare il licenziamento attraverso l’adibizione di quest’ultimo a mansioni diverse, sia pure inferiori (Corte di Cassazione 4 maggio 1987, n. 4142), e questo proprio perché l’inidoneità sopravvenuta allo svolgimento delle mansioni costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento (Corte di Cassazione 18 marzo 1995, n. 3174).
Una giurisprudenza incontrastata (Corte di Cassazione Sezioni Unite, 7 agosto 1998, n. 7755; Corte di Cassazione 13 dicembre 2000, n. 15688; Corte di Cassazione 2 agosto 2001, n. 10754) ha evidenziato il diritto del lavoratore divenuto inidoneo per patologia lavoro-correlata, di pretendere dal datore di lavoro una collocazione lavorativa idonea a salvaguardare la sua salute nel rispetto dell’organizzazione aziendale.
La Cassazione (2 agosto 2001, n. 10574), ha affermato l’obbligo, ex art. 2087, c.c., del datore di lavoro di ricercare una collocazione lavorativa non pretestuosa, idonea a salvaguardare la salute del dipendente, nel rispetto dell’organizzazione aziendale, dimensionata in modo plausibile e rispettosa delle regole poste a salvaguardia della salute.
Quindi la scelta non è solo quella di tutelare una posizione soggettiva in capo al datore di lavoro, ma è soprattutto diretta a tutelare il lavoratore, attribuendogli il diritto di sindacare la scelta imprenditoriale in tutti quei casi in cui si verifichi, obiettivamente, un pregiudizio per la sua salute, che non sia tale da precludergli il diritto allo svolgimento di un’attività lavorativa alternativa, apprezzabile anche dalla controparte.
Fonte: Fisac- Dipartimento Nazionale Salute e Sicurezza