DEUTSCHE BANK: TASSARE LO SMART WORKING!
TANTO RUMORE PER NULLA…
La proposta avanzata dagli “Strategist” di Deutsche Bank in Germania di imporre una tassa del 5% su chi lavora in smart working ha suscitato in generale reazioni (giustamente) indignate.
Per quanto ci riguarda, tuttavia, la trovata non ha stimolato in sé particolari stupori in quanto non fa che confermare alcuni “punti fermi” del pensiero imprenditoriale senza nulla aggiungere, quindi, a quanto già noto e sollecitando piuttosto curiosità attorno ad un tema di grande attualità. Ma andiamo con ordine.
Anzitutto, scoprire che un prelievo fiscale aggiuntivo (5, 10 ma perché non 15% allora?) genera risorse che si possono destinare a miglior causa non è proprio un’ideona alla Talete od alla Pitagora e probabilmente viene anche a chi non fa lo Strategist di professione. Diciamo che si poteva anche pensare di colpire con un’aliquota impositiva che so, i derivati iscritti a bilancio dalle banche…
Ma forse ai nostri benpensanti strateghi d’oltreconfine la cosa non è venuta in mente, può capitare. Che si pensi a tassare il lavoro anziché il capitale o la rendita, invece, è alla base della filosofia imprenditoriale ed ovviamente delle banche.
Che si tassino sempre gli stessi (in Italia il gettito Irpef deriva praticamente dal solo lavoro dipendente dal reddito da lavoro dipendente e dai pensionati) è un’altra costante, vuoi per “comodità” vuoi perché solitamente, in questi casi, ci si concentra sulla parte meno “potente” della società.
Le cosa più inaccettabili della proposta di DB però a nostro avviso sono altre. Anzitutto, non appena lo smart working ha iniziato a prendere piede a causa dell’emergenza sanitaria mondiale si è iniziato a far di conto. La cosa più strabiliante è che la stessa DB ha più volte espresso il suo interesse sull’introduzione di questa modalità lavorativa in maniera strutturata ed estesa in quanto sono numerosi i vantaggi ed i risparmi che le aziende possono conseguire.
Del resto, anche in Italia e nel resto del mondo si è arrivati grossomodo alle stesse conclusioni. Fatta la frittata di riconoscere che la situazione può quindi essere appetibile, ecco che si inizia a ragionare non più sul datore di lavoro ma sul dipendente, cercando di indurre l’idea, come tenta di fare DB, che in realtà chi ci guadagna sul serio è il singolo che lavora da casa mica l’innocente e disponibile azienda.
Non solo: poiché chi lavora in modo “privilegiato” ha degli obblighi solidali nei confronti dei più sfortunati è giusto che devolva una parte del “maltolto” per alleviare le difficoltà di chi invece al lavoro deve andarci per forza oppure un lavoro non lo ha proprio. In un certo senso sarebbe la quadratura del cerchio: le imprese ci mettono l’idea ma non un centesimo ed esercitano pure il loro ruolo “sociale” (!?), si libera lo Stato da qualche onere economico così esso può dedicarsi a venire incontro alle continue richieste di stanziamenti (più o meno giustificati o produttivi) che gli arrivano dalle aziende e si crea un’ulteriore frattura all’interno del mondo del Lavoro.
Sì perché i “meno fortunati” potrebbero risentirsi a fronte di resistenze da parte dei “privilegiati” che non solo hanno un lavoro ma non debbono nemmeno più muoversi da casa. Che poi i Lavoratori in smart working siano tutti dei ricconi sarebbe da verificare… ma questo nulla toglie al potenziale effetto divisivo che un’operazione del genere potrebbe indurre in molte persone.
Sarebbe anche ora di mettere in fila con cura alcuni concetti che, anche interventi come quello di cui stiamo parlando, tendono a mischiarsi in una melassa indistinta. La solidarietà è comportamento virtuoso ed indispensabile che sta alla base anche del Sindacato ma è altra cosa rispetto alla giustizia sociale.
Aiutare chi è in difficoltà ed aiutarsi tra di noi è necessario per lo sviluppo di una società (e di Persone) moderna, democratica ed inclusiva. Ma la società deve essere anche giusta nei diritti, nei doveri, nella distribuzione di ricchezza e sacrifici altrimenti lo sforzo solidale rischia di essere un rimedio temporaneo e parziale a difetti che non vengono mai meno.
Utopia? Assolutamente no, bensì un obiettivo cui tendere sempre anche se magari si è consci che non si realizzerà mai del tutto (in questo senso la solidarietà svolge quindi un ruolo decisivo adesso ed in futuro) ma che deve informare l’agire di ogni parte in causa all’interno di una società civile. Forse la boutade di un analista dovrebbe lasciare semplicemente il tempo che trova ma se induce ad una riflessione più ampia, allora un senso finisce per averlo.
Comunque, se a qualcuno è venuta la tentazione di candidarsi al ruolo di Strategist conviene inizi a scrivere in Germania… potrebbe esserci parecchia concorrenza.
La Segreteria di Coordinamento del Gruppo DB