Pubblichiamo di seguito un articolo di SANDRO MORETTI relativo all’indagine condotta sullo Smart Working e pubblicato sul notiziario della CGIL MILANO “Milano al Lavoro” di novembre 2020.
Nei settori bancario e assicurativo la maggior parte delle aziende ha avviato il processo di lockdown praticamente da subito dopo il 21 febbraio, riducendo rapidamente la presenza di personale nelle sedi e mandando quasi tutti a lavorare a casa nel giro di pochissimi giorni. Il cambiamento nell’organizzazione del lavoro è stato repentino è ha coinvolto migliaia di persone.
In questi settori una quota prevalente delle attività può essere svolta in remoto. Soprattutto nelle sedi e nelle direzioni, ma in parte anche nelle agenzie; gli sportelli che non sono stati temporaneamente chiusi hanno ridotto il lavoro in presenza del personale al minimo indispensabile, con accesso della clientela contingentato e solo su appuntamento. Abbiamo quindi avuto la maggioranza del personale al lavoro da casa e una modesta quota di dipendenti che hanno continuato a recarsi in ufficio.
All’inizio dell’anno gli accordi di lavoro agile nelle imprese del settore bancario – assicurativo sul nostro territorio riguardavano almeno 30 aziende, che raccolgono l’80% dei dipendenti dei due settori. Molte aziende quindi, il 21 febbraio erano già pronte.
Secondo le rilevazioni dell’Istituto Studi e Ricerca di FISAC CGIL Nazionale, nei primi sei gruppi bancari il lavoro agile è passato da una media giornaliera del 4.9% degli addetti nel 2019 al 51.7% nel marzo 2020, cioè da 8.500 persone in media al giorno a 90.000.
Il personale delle reti, le filiali, in lavoro agile è passato dalla media giornaliera dello 0,2% nel 2019 a quella del 27.3% dopo il 9 marzo 2020. Il personale di sede (gli uffici interni e le direzioni) in lavoro agile è passato dal 18% di media nel 2019 all’84,5% nel marzo 2020.
Nei gruppi assicurativi (12 compagnie analizzate) la media giornaliera di personale in lavoro agile nel 2019 era pari al 22%, nel marzo 2020 passa al 93,3%. Si passa cioè da 7.950 a 33.660 addetti in smart working.
Le criticità emerse negli scorsi mesi sono state molte. La dimensione totalitaria della condizione in cui ci siamo trovati – essere tutti, per tutto il tempo, in lavoro remoto e costretti a casa – ha esaltato e a volte esacerbato questioni che in tempi normali non sarebbero emerse in maniera così netta.
FISAC CGIL di Milano e della Lombardia ha attivato un rapporto con i ricercatori di psicologia del lavoro del Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca per condurre una ricerca sull’utilizzo del lavoro a distanza durante il lockdown. La ricerca è stata condotta con un questionario online e il programma ne prevede una nuova somministrazione quando sarà terminata la fase emergenziale e si sarà stabilizzata una “nuova normalità” (all’inizio si prevedeva a novembre, ora a marzo 2021, ottimisticamente).
I questionari completati sono stati 2530. Le caratteristiche socio-anagrafiche di chi ha risposto si avvicinano alle medie dei settori interessati. Una larga maggioranza delle risposte (il 68,7%) viene da Milano, dove hanno sede i principali gruppi bancari e assicurativi e dove più capillare e incisivo è stato l’intervento dei nostri delegati nel richiedere a lavoratrici e lavoratori la partecipazione all’iniziativa.
La ricerca ha messo in evidenza alcuni elementi significativi: intanto che nel nostro settore il genere e l’età non sono stati elementi discriminanti nel determinare la buona o cattiva qualità percepita del lavoro da casa nel periodo del lockdown. Secondo la ricerca, infatti, ha lavorato meglio: chi aveva già svolto lavoro agile prima del lockdown; chi ha avuto una formazione adeguata; chi aveva ruoli professionali più elevati; chi ha ricevuto dall’azienda strumenti di lavoro adeguati.
I risultati, analizzati in chiave di genere, sono interessanti proprio per questa “scarsa rilevanza” della differenza di genere. Anzi, in controtendenza rispetto ad altre ricerche, le donne se la sono cavata meglio degli uomini, soprattutto sul piano della performance professionale. Certo, non sono state rose e fiori, comunque le donne hanno sofferto di più la presenza di figli piccoli (sotto i 12 anni), mentre gli uomini hanno sofferto di più la presenza di figli più grandi.
Le donne se la sono cavata meglio perché nel lavoro agile, pur avendo il maggior carico del lavoro di cura, hanno potuto continuare a esercitare il ruolo professionale e si sono quindi sentite meno penalizzate; gli uomini, che si sono trovati a casa a doversi occupare dei figli, quando abitualmente invece non lo fanno, ne hanno patito di più.
Le donne sembrano apprezzare di più il lavoro agile, mentre tra gli uomini c’è un maggior desiderio di ritornare al lavoro in ufficio. Qui vediamo un grande rischio: che il lavoro agile diventi elemento di segregazione di genere, che diventi il nuovo ghetto in cui confinare le donne, come è già accaduto con il part time.
Bisogna fare chiarezza anche sul concetto di conciliazione. Quando si dice che il lavoro agile ha finalità di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, sono necessarie delle precisazioni. Quella che abbiamo visto durante il lockdown non è stata conciliazione, è stata mera tutela dal contagio e la gestione del bilanciamento famiglia/lavoro è stato un esercizio di equilibrismo.
Il lavoro agile può essere strumento di conciliazione, ma a condizione di avere anche i servizi: nidi, scuole, assistenza sociale per i disabili, ecc. e a condizione di poter gestire effettivamente in autonomia il proprio tempo di lavoro.
Il tempo è stato uno dei temi più controversi. Nel lavoro a domicilio se ne è persa la misura, con un allungamento degli orari di lavoro e la difficoltà ad esercitare il diritto alla disconnessione. Spesso è passata l’idea che il tempo risparmiato evitando il pendolarismo dovesse trasformarsi in tempo di lavoro.
Il lavoro per obiettivi, tipico del lavoro agile, ha fatto passare in secondo piano la durata della giornata lavorativa mentre, quando non è stato possibile definire degli obiettivi, in molti casi è toccato far fronte a pretese di controllo continuo da parte dei responsabili sulle attività svolte a casa dai collaboratori, o alla richiesta di una minuta rendicontazione di quanto fatto durante la giornata. A volte, il lavoro per obiettivi è sembrato assumere la malintesa forma di una cosa che assomiglia molto al cottimo.
La percezione è che spesso la digitalizzazione del lavoro porti a una perdita di autonomia e a un più stringente controllo gerarchico su attività e prestazioni.
Lavoro per obiettivi, intensità della prestazione e controllo sono una combinazione micidiale di fattori che, assieme al tempo di lavoro, devono poter essere ricondotte nei limiti, nella misura delle condizioni di lavoro in presenza. E sfugge ad oggi la questione dell’aumento della produttività e dell’efficienza operativa, che si accompagna a questa nuova organizzazione del lavoro, assieme alla riduzione dei costi, spesso scaricati sui lavoratori.
Va poi aperto un capitolo sulla privacy. Il lavoro è entrato nelle nostre case: ci sono entrati i colleghi, i capi, i clienti, in diretta audio/video. Per molti è stato un fattore di disagio, anche se va comunque detto che la riunione quotidiana di ufficio a distanza, in cui potersi anche vedere in faccia, è risultata essere una pratica che ha contribuito a far funzionare meglio il lavoro da casa, per chi l’ha adottata.
Più in generale bisogna ripensare gli strumenti di lavoro, ottenere strumenti più adatti al lavoro a distanza, ma ripensare anche attività e processi. Spesso, infatti, le aziende si sono limitate a traslare le attività dall’ufficio a casa, e non è sempre stata una soluzione efficiente.
Diverse aziende durante l’emergenza hanno privilegiato l’utilizzo degli strumenti di proprietà del dipendente – pc, connessione e cellulare – con due problemi: la frequente inadeguatezza tecnica di questi strumenti; una maggior difficoltà a esercitare il diritto alla disconnessione (in particolare quando il telefono usato è il cellulare personale, che non è possibile spegnere una volta terminato l’orario di lavoro).
Serve banda larga. Spesso l’azienda si affida alla connessione domestica del dipendente, che non sempre soddisfa i requisiti necessari per lavorare bene a distanza. In molti territori è necessario però un intervento di ordine infrastrutturale. Il problema non può essere risolto dal lavoratore, ma a volte neanche dall’azienda.
Spazio e ambiente di lavoro. Pochi nella propria abitazione dispongono di spazi e mobili adeguati per lavorarci tutto il giorno (in particolare sedute e scrivanie con caratteristiche ergonomiche che rispettino le disposizioni del D.Lgs. 81/08, il testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro). Inoltre, durante il lockdown, quando tutta la famiglia era a casa, è stato difficile avere ambienti separati, non disturbarsi a vicenda con gli altri familiari.
Dobbiamo anche ricordarci che il lavoro agile non è solo quello che si fa a casa, ma anche quello che si fa in tutti i luoghi diversi dal posto di lavoro abituale e ognuno di questi luoghi deve garantire condizioni di lavoro adeguate.
Quanto è successo ha dato un forte impulso all’innovazione. Volenti o nolenti, i colleghi hanno dovuto imparare un più complesso, completo, articolato e immersivo uso delle tecnologie digitali. Le aziende hanno dovuto distribuire più pc portatili e cellulari ai dipendenti, al posto di pc e telefoni fissi, e la sostituzione è definitiva; hanno dovuto implementare soluzioni software che consentissero le attività a distanza anche di migliaia di dipendenti; acquisire piattaforme di videoconferenza e di collaborazione online. Sono stati migliorati i sistemi di accesso ai servizi on line per la clientela, avviati processi di smaterializzazione dove ancora non erano stati intrapresi. Implementati sistemi di certificazione digitale e firma elettronica e così via. Si tratta di cambiamenti dai quali non si torna indietro, ma vanno accompagnati.
La formazione, soprattutto se di buona qualità, si è rivelata un fattore chiave della buona riuscita del lavoro da casa. Ma sulla formazione dobbiamo fare anche dei ragionamenti nuovi. È chiaro che la formazione in aula come l’abbiamo conosciuta non si potrà più fare. Le aziende stanno sposando la logica della formazione a distanza, ma sappiamo che i processi di apprendimento si fondano sull’interazione tra persone. Per non parlare dell’addestramento professionale, che prevede tutoring, affiancamenti, attività di squadra, apprendimento sul campo. Non basta guardare un video online.
La solitudine del lavoratore e della lavoratrice lasciati a casa da soli si esprime su due versanti: uno di ordine più psicologico e individuale, l’altro più espressamente sindacale.
Da una parte c’è la perdita di contatto con l’azienda, i colleghi, i processi, il sistema informale di relazioni, scambio di informazioni, collaborazione, il senso di appartenenza e condivisione, che nei fatti costituiscono un supporto importante alla prestazione e al benessere delle persone, sono fonte di motivazione e stimolo al conseguimento degli obiettivi comuni, che col tempo, nel lavoro a distanza se svolto in modo continuativo, si affievoliscono e si perdono.
Ma c’è un risvolto di natura più sindacale di questa dimensione della solitudine: il lavoro da casa ha prodotto l’individualizzazione del rapporto del lavoratore con il suo responsabile. Per quanto anche in ufficio si tratti spesso di un rapporto individuale, questo avviene in presenza degli altri colleghi, in una dimensione di fatto collettiva e quindi più tutelante e più dialettica. La presenza degli altri è un importante fattore di condizionamento di questo rapporto e dà alle persone la forza di difendere una posizione, fare un’osservazione o presentare una richiesta. L’esistenza degli altri è importante. Nel lavoro a distanza, invece, gli altri scompaiono.
C’è infine un problema di segregazione che in molti ci stiamo ponendo: se l’azienda lascia sempre al lavoro da casa un dipendente, viene il sospetto che il suo lavoro, la sua figura, non siano più considerati, o in un prossimo futuro non saranno più considerati necessari dentro all’azienda.
Terminato – temporaneamente – il lockdown, il ricorso al lavoro agile è stato assunto quasi ovunque come un fatto strutturale, con l’idea che non si tornerà alla situazione precedente, anche una volta superata la crisi Covid. È cambiata l’organizzazione del lavoro.
Sia le aziende sia i lavoratori hanno individuato vantaggi significativi nel lavoro agile e non vi vogliono rinunciare, anche se i più vedono la soluzione preferibile nell’alternanza tra giornate di lavoro in presenza e giornate in lavoro agile e nella turnazione e rotazione tra tutti i colleghi. Pochi vorrebbero infatti lavorare sempre da casa.
Per il sindacato è stato più difficile raggiungere i colleghi, ma c’è stata più richiesta di assistenza sindacale, anche individuale (dentro quella dimensione di solitudine che dicevo).
È stato richiesto un grande e costante impegno per portare le aziende a mettere in sicurezza i posti di lavoro e per tutelare i colleghi, sia quelli che hanno continuato a lavorare in presenza, sia quelli che, a casa, si sono trovati ad affrontare situazioni lavorative spesso nuove.
Ci siamo dovuti dotare di strumenti nuovi: la bacheca sindacale online, la possibilità di fare assemblee sulle piattaforme di videoconferenza. In diverse aziende le abbiamo richieste e ottenute. Nelle altre vanno messe all’ordine del giorno.
Nelle risposte di lavoratrici e lavoratori al questionario c’è un giudizio di apprezzamento per il lavoro sindacale fatto in questo periodo, per la presenza, quasi sempre virtuale, ma costante e continua, accanto ai colleghi, nel confronto con le direzioni aziendali, nel farsi parte attiva sul piano della tutela della salute e su quello di una rinegoziazione complessiva delle nuove condizioni di lavoro, sia collettive sia individuali.
L’intervento sindacale assume oggi un carattere di ripristino dei diritti e delle tutele e di evoluzione dell’intervento sulle condizioni di lavoro e nel rapporto con le aziende. I diritti oggi sono gli stessi di prima, anzi ce n’è qualcuno in più da far valere, non in meno. E c’è maggior bisogno di tutele, per un lavoro che si presenta più frammentato, per dei lavoratori e delle lavoratrici che sono più distanti e più soli. Dobbiamo mettere in campo la nostra capacità come persone e come organizzazione di evolvere e quella di far evolvere la qualità dell’intervento sindacale.