L’ANGOLO LEGALE: Mobbing (parte prima)
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In questo approfondimento cercherò con molta semplicità e con estrema sintesi di affrontare il problema del mobbing. Per fare ciò oltre a definirlo e spiegare i suoi elementi costitutivi, metterò in luce la normativa di riferimento e gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento italiano.
Il termine mobbing deriva dal verbo inglese “to mob” che significa aggredire, attaccare. Si sostanzia in un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro e finalizzati a colpire ed emarginare il lavoratore.
In Italia non abbiamo una legge specifica sul mobbing, nel compenso abbiamo tutta una serie di principi e norme legislative che tutelano il prestatore di lavoro subordinato. La giurisprudenza ha definito il mobbing come una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, perpetrati ai danni del lavoratore da parte dei membri del suo ufficio o da parte del suo datore di lavoro. Il persecutore, definito anche “mobber”, agisce con dolo e con animo vessatorio, le sue azioni assumono un carattere sistematico e si protraggono nel tempo. La finalità perseguita è quella di colpire una persona sgradita, non più ritenuta utile e di esasperarla al punto tale da portarla a rassegnare le dimissioni.
In base ai soggetti coinvolti e alla loro posizione gerarchica possiamo distinguere un mobbing verticale, se le condotte vessatorie sono esercitate da un superiore, e un mobbing orizzontale, quando gli artefici sono i colleghi posti sullo stesso livello della persona che ne è bersaglio.
La giurisprudenza (Cass. Civ. sez. Lavoro, n. 17698/2014) ha chiarito gli elementi costitutivi del mobbing specificandoli come segue:
a) comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato nel tempo;
b) il danno provocato alla salute, alla personalità e alla dignità del dipendente;
c) il nesso di causalità tra le condotte descritte e il danno causato;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio (dolo).
Pur non avendo una normativa di riferimento specificamente dedicata al fenomeno del mobbing, sono comunque presenti nel nostro ordinamento norme che tutelano la sicurezza e la salute del lavoratore. Potremmo senz’altro ricordare i principi costituzionali del diritto alla salute (art. 32) e quello del limite posto all’iniziativa economica privata (art. 41), che, se pur libera, non deve svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
Anche a livello codicistico troviamo una serie di norme di rilievo, come gli artt. 2087 c.c. (tutela dell’integrità fisica e della personalità dei prestatori di lavoro); 2103 c.c. ( tutela del lavoratore in caso di mutamento delle mansioni lavorative); 1175 c.c. e 1375 c.c. (le parti in ogni rapporto contrattuale devono comportarsi secondo correttezza e buona fede); 2049 c.c. ( chiama il datore di lavoro a rispondere dei danni cagionati dal fatto illecito commesso dal proprio dipendente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa).
La figura del lavoratore trova tutela anche in altre fonti, ricordo l’art. 15 dello Statuto de Lavoratori, il quale sancisce la nullità di atti diretti a realizzare forme di discriminazione sul luogo di lavoro; il D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro; infine, il D.lgs. 81/2008 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), il cui art. 28 considera tra i rischi per la salute dei lavoratori anche quelli derivanti da condizioni di stress da lavoro correlato.
Le condotte mobbizzanti possono dar luogo a profili di responsabilità contrattuale o extracontrattuali con le conseguenti differenze previste per ottenere il risarcimento del danno. Per essere più chiaro parleremo di responsabilità contrattuale nel caso in cui il danneggiato faccia valere l’inadempimento di una obbligazione nascente dal rapporto di lavoro. Mentre si potrà far valere una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. per chiedere il risarcimento per un danno ingiusto subito e causato da una condotta illecita.
L’art. 2087 c.c. impone, come già detto, una obbligazione a carico dell’imprenditore che si sostanzia nell’adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità dei prestatori di lavoro. Il datore sarà responsabile contrattualmente se porrà in essere atti vessatori nei confronti del suo dipendente. Sarà comunque responsabile anche nel caso in cui le condotte vessatorie siano realizzate non direttamente da lui ma dai suoi sottoposti. In questo ultimo caso gli sarà contestato un inadempimento per non aver vigilato e tutelato l’integrità psicofisica del suo dipendente. Nel far valere la responsabilità contrattuale del proprio datore di lavoro, il lavoratore dovrà indicare e provare i comportamenti vessatori subiti, dando prova del danno subito e del conseguente nesso causale tra le condotte mobbizzanti rese possibili dall’inadempimento degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.
Il datore in base all’art. 1218 c.c. dovrà dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie a tutelare il lavoratore o di non averlo potuto fare per cause a lui non imputabili. Solo in questo caso potrà andare esente da responsabilità ed evitare il conseguente risarcimento del danno.
Ma quali saranno i danni che potranno essere richiesti dal lavoratore mobbizzato? Ebbene sotto il profilo patrimoniale si potranno richiedere le spese mediche e farmaceutiche sostenute a fronte delle lesioni psicofisiche subite a causa del mobbing, così come i mancati guadagni causati dal demansionamento e la conseguente perdita patrimoniale dovuta ai mancati avanzamenti di carriera. Sotto il profilo del risarcimento dei danni non patrimoniali, invece, si potrà richiedere il risarcimento del danno biologico (danno alla salute accertato clinicamente), del danno morale (danno dovuto alla sofferenza patita) e del danno esistenziale (peggioramento della qualità della vita).
Diciamo subito che le cause per mobbing non sono affatto semplici per il lavoratore, lo stesso dovrà dimostrare che le condotte poste in essere nei suoi confronti non sono episodi di conflittualità sul luogo di lavoro, ma integrano al contrario una vera e propria strategia persecutoria.
Si potrà dimostrare il mobbing subito sia attraverso certificazioni mediche attestanti patologie conseguenti (prove documentali), sia chiamando a deporre in via testimoniale colleghi di lavoro (prove testimoniali).
Per completezza aggiungo un dato che personalmente ritengo particolarmente interessante e di più rapida tutela. Mi riferisco nella possibilità di far valere in sede penale le condotte persecutorie subite.
Infatti, in alcuni casi, le stesse condotte persecutorie potrebbero integrare fattispecie criminose previste dal codice penale.
Si potrebbe configurare il reato di violenza privata (art. 610 c.p.) nei casi in cui la condotta vessatoria abbia costretto la vittima ad un determinato comportamento, ad esempio si potrebbe costringere il lavoratore a rinunciare a far valere un suo diritto previsto contrattualmente.
Si potrebbe incorrere nel reato di minaccia (art. 612 c.p.) qualora il mobber arrivi a prospettare alla vittima il pericolo di future ed ingiuste conseguenze dannose. Le conseguenze del mobbing potrebbero anche concretarsi nei reati delle lesioni personali dolose e colpose di cui agli artt. 582-590 c.p., infatti la condotta aggressiva può arrivare a ledere l’integrità psicofisica generando lesioni personali.
In questa prima parte mi sono sinteticamente soffermato sul fenomeno del mobbing mettendo in luce le caratteristiche, gli elementi costitutivi e la normativa di riferimento. Nella seconda parte tratterò l’argomento nello specifico, con particolare attenzione alla situazione lavorativa vissuta dall’organizzazione produttiva dipendente. In particolare mi soffermerò sugli strumenti di denuncia al mobbing previsti dalla CCNL Ania e dal Codice di Condotta del Gruppo Generali.
In conclusione ritengo importante delineare un quadro preciso e puntuale sul fenomeno oggetto di questo approfondimento. E’ importante denunciare tutte quelle condotte vessatorie e illecite subite quotidianamente e sistematicamente dal lavoratore, è importante conoscere e utilizzare gli strumenti che l’ordinamento giuridico dispone per arginare questa pratica sempre più diffusa.
Gian Luigi Ricupito