Una piccola riflessione morale
Questa pubblicazione è un modesto organo informativo interno e non vogliamo pertanto sopravvalutarci o cercare di coprire spazi non nostri con opinioni non competenti.
Ci si consenta, però, di sottolineare la spirale di violenza, non di rado collettiva, che si sta addensando da tempo sulla nostra società. Siamo partiti dalle parole ed i fatti diventano conseguenza.
I pestaggi squadristi, così come la frequente violenza domestica, l’indifferenza verso il prossimo ed il fastidio per i problemi altrui non possono essere considerati fatti isolati e non basta asserire che la sopraffazione è sempre esistita e sempre esisterà.
Certamente non è possibile pensare a società perfette e la violenza è insita nell’animo di ognuno e non solamente nel corpo sociale.
Quello che vediamo oggi tuttavia non va nemmeno derubricato a qualcosa di normale o fisiologico poiché altrimenti commetteremmo un errore speculare. Da troppo tempo ci stiamo abituando ad utilizzare toni violenti nelle forme, irrispettosi nella sostanza, irriguardosi della dignità altrui.
Non basta tirare in ballo la crisi economica perché spesso la violenza arriva da chi in crisi nemmeno è. Si tratta piuttosto della riaffermazione di una sottocultura fascista che ormai sta diventando, nuovamente, moneta corrente ed accettata.
Non è un problema ideologico: chi ha avuto la pazienza di studiare davvero il “ventennio” sa che sotto questo profilo ci troviamo di fronte ad una struttura esile, trasformista ed incerta per stessa ammissione, e volontà, di chi la portò al potere.
Fu però in quel periodo, non solo in Italia ad onor del vero, che la violenza organizzata o meno divenne marchio di regime e fu anzi l’autentico strumento di affermazione di una parte sull’altra, tanto da essere successivamente legalizzata ed assunta a paradigma dallo Stato stesso.
In questo senso dobbiamo riflettere perché non di etichette stiamo ragionando ma di un modo di concepire il rapporto con gli altri che rischia nuovamente di affermarsi tanto con le parole che con i fatti.
Se vogliamo considerarci società e comunità non possiamo isolare gli episodi ma occorre metterli a fattor comune perché non sempre si tratta di follie dei singoli bensì, più spesso, di comportamenti se non proprio incentivati quantomeno non disapprovati.
Per certi versi vale quanto accade con l’evasione fiscale: in altri contesti sociali e storici è un atto deplorevole e meritevole di condanna anche morale mentre da noi, in fin dei conti, non desta troppo scandalo e con il passare del tempo è divenuto, di fatto, un fenomeno socialmente accettato.
Accade così che siamo il Paese “avanzato” dove maggiormente alligna il “furto sociale” ed è difficile pensare che si tratti di un caso.
La responsabilità dei singoli comportamenti, con quello che ne consegue nei confronti degli altri, è ovviamente declinabile in primis su base individuale ma non dobbiamo mai abbassare la guardia rispetto ad una deriva sociale che se non incita esplicitamene ad atteggiamenti negativi che arrivano sino alla crudeltà vera e propria, rischia quantomeno di farsene una ragione.