La rivoluzione industriale
Ebbene sì, gli industriali (o perlomeno il loro principale rappresentante) sono rivoluzionari. L’evocazione di questo termine, soprattutto per alcuni un po’ in là con gli anni, fa sempre una certa impressione.
Se poi a professare intenti di siffatta natura è il capo di Confindustria, il trasalimento è inevitabile.
Occorre dire che lo stesso Bonomi si è affrettato a dire che in realtà la “sua” confederazione è più conservatrice che altro ma l’uso delle parole, soprattutto in determinate circostanze, non può essere lasciato al caso e se lo si facesse si mostrerebbe immediatamente la cifra della propria capacità.
Prendiamo intanto per buona e ponderata l’affermazione, contenuta in una lettera rivolta agli associati in occasione dei primi 100 giorni di presidenza Bonomi, che i “padroni” vogliono fare contratti rivoluzionari e cerchiamo di capire come ed a che fine.
Per cominciare siamo in crisi e già questo dovrebbe bastare ad evitare pretese da parte delle maestranze…
Perché poi aumentare i salari visto che non c’è inflazione (?) e quindi viene meno il principale motivo di adeguarli?
Inoltre, aumenti di produttività non se ne intravedono e quindi anche in questo caso per quale motivo si dovrebbe pagare di più chi lavora?
Altra considerazione: il novecento è chiuso e lo scambio orario/salario non ha più senso (?), tuttalpiù si può vedere di fare qualcosa sul welfare aziendale (vantaggioso economicamente soprattutto per le imprese).
Apriamo una breve parentesi su questa ultima “rivoluzionaria” idea per dire che non siamo pregiudizialmente contrari a valutare il rafforzamento del welfare nelle intese sindacali (lo abbiamo fatto a più riprese anche nella nostra azienda) ma questo non può andare a sostituire integralmente ogni rivendicazione economica e non deve rappresentare un tassello utile a svilire la funzione di quello pubblico che, come abbiamo visto anche durante questi mesi, rimane l’elemento fondamentale ed imprescindibile dello Stato e della coesione sociale.
Tornando a Bonomi, a monte di ogni valutazione egli redige addirittura un decalogo vero e proprio con tanto di esplicita numerazione progressiva (occhio alle tentazioni di grandezza…) nel quale elenca tutte le colpe (degli altri) che portano ora il Paese a trovarsi in difficoltà di fronte alla crisi.
Il principale colpevole è ovviamente lo Stato per il tramite del Governo (l’attuale in modo particolare ma in realtà oltre ai provvedimenti Covid si citano alla rinfusa il debito pubblico e tutta una serie di croniche mancanze che non hanno avuto origine cinque minuti fa: lungi da noi “l’amnistia” politica per coloro che hanno guidato il Paese da un bel po’ di anni a questa parte ma parlare così è una semplificazione eccessiva ed un po’ troppo scontata).
L’assunto del rapporto tra industriali ed Istituzioni si traduce sostanzialmente nell’obbligo della parte pubblica a sostenere le imprese, ad attivare coperture economiche per chi rimane senza lavoro, a pensare alla loro formazione professionale così che siano poi appetibili per chi potrebbe (casomai) assumerli, a liberalizzare le procedure di ogni sorta e, fatto tutto ciò, ultimo ma non meno importante, a non immischiarsi nelle attività economiche private (nonostante nel frattempo siano stati utilizzati soldi di tutti).
Ovviamente e quasi magicamente ciò dovrebbe avvenire attraverso la sempre più mistica riduzione delle tasse.
Non dobbiamo fermarci a pensare che basti la critica e la sottolineatura che, come di solito accade da tempo immemore, il mondo imprenditoriale tende a socializzare le perdite, a privatizzare gli utili, a glorificare se stesso ed a puntare il dito sugli altri assumendo nel contempo toni vittimistici.
Una linea politica come quella che sta portando avanti Confindustria sta concretamente contribuendo a ritardare se non a compromettere del tutto il rinnovo dei contratti di lavoro per milioni di Dipendenti. In alcuni casi vi sono intese già sottoscritte alle quali, sempre in modo “rivoluzionario”, Confindustria non vuole dare seguito.
Sotto tale profilo la nostra Categoria si trova in una situazione di grande vantaggio avendo appena rinnovato il CCNL, prima dell’emergenza sanitaria e prima delle immaginifiche direttive di Bonomi.
Non per questo possiamo tuttavia ritenerci fuori dai giochi, vuoi perché ognuno può avere famigliari che vivono situazioni lavorative ben differenti, vuoi perché il contesto in cui viviamo non ci lascia comunque immuni.
E’ evidente che lo snodo sociale ed economico che stiamo attraversando diviene fondamentale per il futuro, non solo prossimo.
Non illudiamoci che tutti remeremo nella stessa direzione e che alla fine prevarrà il senso del rigore morale e dell’interesse comune: non accadrà ora come non è successo in passato e quello che si riuscirà sindacalmente ad ottenere si dovrà conquistarlo.
Non possiamo nemmeno permetterci di limitare il nostro operato al semplice contrasto delle discutibili proposte altrui perché servirà invece uno sforzo di pensiero e di azione al quale siamo già chiamati, tanto come Organizzazioni sindacali che come individui.