Smart working: opportunità per i lavoratori o arma di destrutturazione contrattuale?
Torna all’indice – Le aziende hanno ostacolato anche in periodo emergenziale l’utilizzo dello smart working richiesto dai colleghi. Due i motivi principali: il criterio della presenza fisica, ritenuto indispensabile per chi è a contatto con il pubblico e metro per valutare la prestazione lavorativa, e la differente efficacia delle pressioni commerciali a distanza – effettuate tramite telefono, mail e chat aziendali – rispetto a quelle effettuate in presenza. Sono due motivazioni che dimostrano come le aziende vogliano mantenere il loro “tallone di ferro” sui lavoratori in modo da “spremere” il massimo possibile del loro
potenziale anche con forme più o meno coercitive che il sindacato sta da tempo combattendo.
Ma anche nella possibile definizione di questo istituto contrattuale, laddove dovesse essere riconosciuto ai colleghi, compare evidente il tentativo di scardinare i contratti collettivi e con essi i diritti dei lavoratori specie in materia di orari.
Un articolo apparso su “CorrierEconomia” del 10 luglio aveva il seguente titolo: «Smart working o ufficio? Addio a orari di lavoro e weekend: così cambia il lavoro». Secondo questo giornale che riprende un articolo de l’Economist, oggi i «confini di orario non sono più così definiti, non c’è nessuna linea netta a scandire come un metronomo i momenti del nostro quotidiano. Senza il concetto del “da lunedì al venerdì” il fine settimana diventa qualcosa di nebuloso. Il lavoro invade il tempo libero e viceversa». Secondo questi “saggi ed esperti” in futuro i dipendenti potranno lavorare e fare delle pause quando vogliono, con la videochiamata aziendale come unico appuntamento. In realtà è evidente il tentativo di rendere reperibili i lavoratori per una durata temporale oggi non riconosciuta. E chi invoca il diritto alla disconnessione, peraltro recentemente riconosciuto nell’ultimo CCNL del Credito, non si rende conto che comunque non è in grado di tutelare il lavoratore da quella reperibilità e disponibilità continua cui le aziende puntano. Un recente disegno di legge vorrebbe infatti definire le fasce di reperibilità del lavoratore, al di fuori delle quali non può essere chiamato, nonché la prestazione lavorativa da svolgersi in un arco temporale non superiore alle 13 ore giornaliere!
È necessario perciò difenderci da questi attacchi che arrivano da più parti, che ci prospettano una illusoria flessibilità gestita da noi lavoratori ma che considerano l’orario di lavoro definito ormai superato e gestito esclusivamente dalle esigenze delle aziende.
Recentemente il Segretario Generale della Cgil, Maurizio Landini è così intervenuto sulla materia: «Io non sono affatto d’accordo sull’idea che il tempo-lavoro ormai sia scomparso e che si debba ragionare solo per obiettivi. E anzi non capisco perché la possibilità o la necessità di operare da remoto debba comportare la cancellazione di conquiste. Abbiamo stabilito che se io lavoro di notte o di domenica, tu mi dai una maggiorazione o un’altra cosa? E perché ora, dovrei perdere tutto se lo faccio da casa?»
E conclude: «La progettazione di un nuovo modello sociale deve avere al centro l’uomo e il lavoro come elemento di valorizzazione. E non il mercato, il profitto che lasciati da soli mi sembra abbiano già fatto abbastanza danni». Condividiamo queste riflessioni, che dovranno diventare pratica di rivendicazione sindacale. Ma per fare questo è necessario il sostegno di tutti, sviluppando la coalizione sindacale e la conseguente azione coinvolgendo il maggior numero di colleghe e colleghi interessati.