Lavoro da casa e cura
Torna all’indice – La graduale ripresa dell’attività produttiva dopo la fase di confinamento senza la contemporanea riapertura delle attività scolastiche, educative e di sostegno alla disabilità, ha comportato serie difficoltà per le famiglie e in particolare per le donne, impedendo loro di rientrare completamente e serenamente al lavoro. E questo fenomeno potrebbe riproporsi in autunno nel caso di riaperture scolastiche ritardate, parziali o discontinue, per effetto di un’eventuale ripresa dei contagi.
A questo proposito, le Segretarie Generali Territoriali ci hanno manifestato la preoccupazione che le imprese del settore possano appellarsi ad una presunta incompatibilità della prestazione lavorativa di filiali bancarie e agenzie assicurative con il lavoro da casa, negando di fatto il lavoro svolto dalla rete commerciale nei mesi scorsi.
La prima conseguenza diretta e contingente sarebbe di rendere inesigibile il diritto dei genitori di minori di 14 anni (e di chi assiste persone con disabilità) a svolgere la propria prestazione lavorativa in modalità agile fino alla fine dell’emergenza epidemiologica, così come prevede il cosiddetto Decreto Rilancio (DPCM n.34 del 19 maggio scorso).
I pochi accordi sottoscritti finora nel settore, in realtà, non hanno affrontato con decisione la questione e si sono limitati a garantire un numero minimo di giorni di lavoro da casa (un giorno a settimana negli accordi sottoscritti in Intesa Sanpaolo e in Monte dei Paschi Siena), spingendo di fatto le lavoratrici madri a ricorrere ad altri strumenti più penalizzanti sul piano economico.
Inoltre, pensare che le funzioni della rete commerciale siano incompatibili con il lavoro da casa – invece di ragionare delle misure organizzative necessarie a garantirlo e a renderlo efficace – tende a rafforzare il criterio della presenza fisica come metro per valutare la prestazione lavorativa. E la valutazione professionale che adotta criteri quantitativi come il tempo di presenza penalizza da sempre le lavoratrici, meno propense a svolgere prestazioni straordinarie e in buona parte impiegate a part-time. Al contrario, dovremmo favorire il passaggio a una valutazione per obiettivi qualitativi, più consona al lavoro agile correttamente inteso, per ridurre un fattore importante di discriminazione indiretta di genere.
Un’altra ragione delle resistenze ad accettare il lavoro da casa per la rete commerciale potrebbe risiedere nel diverso impatto e nella differente efficacia delle pressioni commerciali a distanza – effettuate tramite telefono, mail e chat aziendali – rispetto a quelle effettuate in presenza.
Nel perdurare o riproporsi dell’emergenza, le disposizioni normative sull’utilizzo del lavoro da casa, per contenere il contagio e anche per la vigilanza dei minori e dei disabili in caso di sospensione dei servizi scolastici e di cura, vanno rese esigibili. Occorre, quindi, costruire una base omogenea di partenza per le trattative aziendali, che riconosca esplicitamente la compatibilità del lavoro da casa con le mansioni tipiche dei nostri settori, in modo da evitare interpretazioni arbitrarie, restrittive o discrezionali da parte delle aziende.
In vista del ritorno all’ordinarietà, andranno poi trattati e regolati tutti gli aspetti critici o ambigui del lavoro agile, anche alla luce dell’esperienza di questi mesi, rendendolo uno strumento di inclusione e non di esclusione o di discriminazione per le donne e costruendo la contrattazione di conseguenza.
Per concludere questo ragionamento, evidenziamo quanto è emerso in modo chiaro nel nostro dibattito e cioè che il lavoro da casa, effettuato durante l’emergenza a scuole chiuse, non può essere considerato uno strumento di conciliazione di lavoro professionale e lavoro di cura, perché non favorisce un migliore equilibrio tra queste due attività, che finiscono al contrario per mescolarsi e confondersi, per la sovrapposizione di spazi e tempi di esecuzione.
Spetta ai genitori – e di fatto alle lavoratrici che si occupano in prevalenza della cura – decidere se possono reggere questo doppio impegno, che comporta forti dosi di stress, o preferiscono optare per altre soluzioni, che rendano davvero conciliabile il lavoro retribuito con il lavoro di cura.
Noi abbiamo il compito di suggerire misure contrattuali integrative per sostenere chi svolge attività di cura, promuovendo la condivisione tra i generi.