Oplà n° 3 Ora ti valuto io


Provvedimenti disciplinari : presupposti e limiti


Torna all’indice – Il dipendente che si rende responsabile di comportamenti vietati dal contratto di lavoro o dal codice disciplinare rischia di incorrere in sanzioni.  

Il potere disciplinare del datore di lavoro ha lo scopo di tutelare l’organizzazione aziendale ed il rispetto degli obblighi contrattuali del lavoratore, si fonda sul principio di subordinazione del prestatore di lavoro e si traduce nella comminazione di sanzioni disciplinari nei confronti del lavoratore inadempiente.

 Secondo l’art. 2106 Cod. Civ. l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 2104 e 2105 Cod. Civ., precisamente l’inosservanza del dovere di diligenza, di obbedienza e dell’obbligo di fedeltà, può dar luogo, nei confronti del lavoratore, all’applicazione di sanzioni disciplinari secondo la gravità dell’infrazione.

Le modalità concrete dell’esercizio del potere disciplinare sono fissate dall’art. 7 della Legge n. 300/1970  cosiddetto “Statuto dei lavoratori”,  il quale subordina l’adozione della sanzione ad uno specifico procedimento.  La legge impone al datore di lavoro un preciso iter disciplinare allo scopo di consentire al dipendente di avere tutti i mezzi per difendersi e, nel caso, evitare la sanzione stessa. 

Uno degli oneri previsti e posti a carico del datore è quello di far conoscere il codice disciplinare ai lavoratori mediante affissione nei posti di lavoro. Nel caso di aziende con più sedi il codice deve essere affisso in ogni singola unità aziendale. E’ onere del datore far conoscere al lavoratore le possibili condotte illecite e le relative sanzioni pena l’illegittimità delle stesse.

La giurisprudenza del lavoro ha più volte escluso la validità di forme equivalenti di pubblicità, quali ad esempio la consegna ai singoli lavoratori di copia del CCNL o la disponibilità del codice presso i locali dell’azienda. In tal senso la Cassazione n.1208/1988 ha confermato la necessità di affissione del codice escludendo forme alternative di pubblicità.

Il datore di lavoro ha il potere di controllare che i dipendenti svolgano correttamente il loro lavoro e nel caso contrario potrà, prima di irrogare loro delle sanzioni, muovere le dovute contestazioni.

 Il datore deve contestare tempestivamente l’addebito al lavoratore per iscritto. Inoltre i fatti devono essere sufficientemente precisi e circostanziati in modo tale da assicurare  un effettivo esercizio del  diritto di difesa. 

A seguito della contestazione dell’addebito il lavoratore può, entro cinque giorni, presentare le sue giustificazioni scritte e orali. Altresì può chiedere di essere sentito personalmente o per mezzo di un rappresentante sindacale o, anche, farsi  assistere da un avvocato. Dopo aver sentito le eventuali giustificazioni presentate dal lavoratore, il datore, qualora non le ritenga valide,  potrà decidere se adottare o meno la  sanzione disciplinare, che dovrà essere proporzionata alla gravità del fatto e giustificata dai presupposti che il datore ha l’onere di provare.

Una volta irrogata la sanzione , il lavoratore che la ritenga ingiusta  può impugnare il provvedimento davanti all’Autorità Giudiziaria (Giudice del lavoro), in questo caso l’instaurazione del giudizio non sospende l’applicazione della sanzione.

 In alternativa alla via giudiziaria il lavoratore può promuovere, entro venti giorni dal ricevimento del provvedimento, una procedura di conciliazione. A tal fine, tramite  l’Ispettorato Territoriale del Lavoro, viene formato un collegio composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo (collegio di conciliazione ed arbitrato). La sanzione disciplinare in questo caso resta sospesa fino alla pronuncia del collegio, il lodo emesso non è impugnabile tranne nei casi di violazione di legge e di vizio della volontà. 

Le possibili sanzioni previste dalla legge sono: il rimprovero verbale, il richiamo scritto, multa, sospensione e licenziamento. In base ai CCNL tali sanzioni possono articolarsi in maniera differente derogando in senso più favorevole ai lavoratori (cosiddetta derogabilità in melius) quanto previsto dalla normativa generale.

Andando ad analizzare le sanzioni previste dall’art. 26 del CCNL  ANIA,  possiamo ricordare: il rimprovero verbale; il biasimo inflitto per iscritto; la sospensione dal servizio e dal trattamento economico per un periodo non superiore a 10 giorni. 

L’art. 27 del CCNL ANIA prevede per l’impresa,  in attesa di deliberare l’eventuale provvedimento disciplinare, la possibilità di sospendere il lavoratore temporaneamente dal servizio per il tempo strettamente necessario, ferma restando la corresponsione degli emolumenti.

Successivamente l’art. 28 del CCNL stabilisce che prima di deliberare i provvedimenti disciplinari del biasimo per iscritto e della sospensione dal servizio e dal trattamento economico, l’impresa contesti per iscritto la inadempienza all’interessato, il quale può presentare, entro 15 giorni, le proprie difese scritte anche tramite l’Organizzazione Sindacale cui aderisce o conferisce mandato. 

L’art. 75 del CCNL prevede, come ulteriore e più grave sanzione disciplinare per il lavoratore, il licenziamento disciplinare.  Disponendo che “Qualora la risoluzione del rapporto di lavoro avvenga per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, a norma dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e successive modifiche e integrazioni, l’impresa è tenuta a contestare per iscritto la mancanza all’interessato, il quale può presentare, entro 15 giorni, le proprie difese scritte.

Alla risoluzione del rapporto di lavoro di cui al 1° comma sono estese le procedure previste per i provvedimenti disciplinari dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300”.

Quanto sopra esposto vuole essere una sintesi dei presupposti e dei limiti imposti dalla normativa vigente al datore di lavoro nell’esercizio del suo potere disciplinare.  

Passando ad analizzare nello specifico le sanzioni disciplinari emanate nei confronti dei produttori, è opportuno sottolineare come i provvedimenti del biasimo per iscritto e della sospensione dal servizio abbiano comunque avuto tutti un fattore comune: la scarsa resa produttiva in termini di mancata realizzazione dei programmi di produzione. Potremmo sintetizzare dicendo che il fattore che motiva i provvedimenti in questione è il non raggiungimento degli obiettivi produttivi decisi unilateralmente dall’azienda. 

Lo stesso licenziamento disciplinare per il mancato raggiungimento degli obiettivi e dei programmi di produzione,  è stato giustificato dall’azienda attraverso la mera comparazione tra la resa produttiva del singolo con quella espressa dalla zona di appartenenza. Vengono a tale scopo confrontati i risultati conseguiti attraverso dei documenti prodotti dall’azienda medesima e proprio per questo lontani dall’essere ritenuti terzi ed imparziali.  

Il produttore è un dipendente e come tale soggiace alle norme che regolamentano il rapporto di lavoro subordinato. La giurisprudenza del lavoro ha più volte sottolineato il concetto in base al quale dal contratto di lavoro subordinato derivi un’obbligazione di mezzi e non di risultati.

 In base a ciò  il mancato raggiungimento delle performance produttive non giustificherebbe le stesse sanzioni disciplinari, anche in virtù del fatto che la possibilità per il produttore di non realizzare i programmi di produzione non viene considerato tra i  doveri posti a suo carico. 

Il corretto ed esatto adempimento della stessa prestazione di lavoro non dovrebbe essere valutata alla stregua del solo parametro produttivo.  In tal senso non esiste alcuna normativa/accordo aziendale derivante da una contrattazione sindacale che stabilisca l’obbligo di rendimento. La stessa sanzione per scarso rendimento (mancata realizzazione di programmi di produzione) non è contenuta nel codice disciplinare.

La conseguenza è l’illegittimità  del provvedimento disciplinare motivato dal mancato raggiungimento degli obiettivi e programmi fissati dall’azienda. 

Quanto sopra esposto trova conferma e riscontro nella decisione presa dal collegio di conciliazione ed arbitrato istituito presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro  di Lecce il 7/2/2019. 

Il collegio in questa occasione annullava, ritenendola illegittima, la sanzione disciplinare della sospensione dei cinque giorni  dal lavoro e dalla retribuzione. La sanzione de quo era stata inflitta da Generali Assicurazioni S.P.A ad un produttore dipendente al quale veniva contestato lo scarso rendimento e la conseguente mancata fattiva collaborazione.

L’illegittimità accertata e dichiarata dal collegio si fondava sulla mancata affissione del codice disciplinare nella sede dell’agenzia e al fatto che la sanzione della scarsa produttività non era contenuta nel codice disciplinare rilasciato al dipendente. Veniva inoltre accertato che lo stesso mancato raggiungimento dei programmi di produzione non era stato oggetto neanche di contrattazione collettiva nazionale. Si è ritenuto violato il principio in base al quale “in presenza di contratti collettivi applicabili, il codice disciplinare deve essere conforme a quanto in essi stabilito (art. 7 Legge .300/1970)”.

Gian Luigi Ricupito

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